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Napolitano: ricordare i crimini e le sofferenze di tutti (Il Piccolo 11 feb)

di MAURO MANZIN

TRIESTE Garante: è questo il ruolo del presidente della Repubblica. E Giorgio Napolitano non lo dimentica nemmeno del Giorno del Ricordo dei martiri delle Foibe e dell’esodo. «Le Foibe – afferma il Capo dello Stato durante la cerimonia al Quirinale – furono una tragedia patita da italiani innocenti, ma non vanno dimenticate le responsabilità del fascismo». Per celebrare la Giornata del Ricordo, con cui da cinque anni si commemora la tragedia degli italiani infoibati dai partigiani jugoslavi e l'esodo degli abitanti di Fiume, Istria e Dalmazia, Giorgio Napolitano non rinuncia alla condanna del fascismo come responsabile degli orrori di guerra. «La memoria che coltiviamo innanzitutto – dice il Capo dello Stato – è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra». Per questo motivo occorre ricordare «le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo; ma non possiamo nemmeno dimenticare le sofferenze, fino a un'orribile morte, inflitte a italiani assolutamente immuni da ogni colpa».

Ma Napolitano ha voluto anche respingere le critiche all'Italia arrivate da Slovenia e Croazia, Paesi di origine degli uccisori degli italiani nelle foibe. La celebrazione di quegli avvenimenti, ha sottolineato, «non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo». Si tratta invece di «un riconoscimento umano e istituzionale già per troppo tempo mancato e giustamente sollecitato». Secondo il presidente della Repubblica, «non hanno alcuna ragione d'essere polemiche dall'esterno nei nostri confronti», visto che la Repubblica italiana è nata «anche grazie al coraggio e al sacrificio dei civili e dei militari che si impegnarono nella Resistenza fino alla vittoria finale sul nazifascismo».

Napolitano si è comunque detto «lieto» dei chiarimenti arrivati lo stesso 31 gennaio dal presidente della Slovenia Danilo Türk, che in una precedente intervista aveva detto che l'Italia ha «un deficit etico» circa le responsabilità storiche del fascismo. Türk che ieri ha commentato molto positivamente le parole di Napolitano quasi a suggellare, su queste spinose questioni, un nuovo asse Roma-Lubiana sul tema della riconciliazione. Tutte le istituzioni hanno espresso vicinanza ai familiari delle vittime e ai profughi di Fiume, Istria e Dalmazia. «È stata rotta la congiura del silenzio», ha sottolineato Gianni Letta, intervenendo a nome del governo al Quirinale. Una cerimonia si è svolta anche alla Camera, alla presenza del presidente Gianfranco Fini, secondo il quale «la tragedia delle foibe fu un crimine contro l'umanità». Da Fini è arrivata anche la proposta di scrivere sulla carta di identità dei profughi istriani, alla voce cittadinanza, la parola «italiana», e non «ex-jugoslava»: «Sarebbe un piccolo gesto che vale più di molti discorsi».

Altra proposta, destinata a sollevare polemiche con la Croazia, quella del ministro Carlo Giovanardi: sul timbro postale della città di Fiume, ha detto, deve comparire, oltre al nome croato, «Rijeka», anche quello in italiano. E visto che la storia si impara sui banchi di scuola, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha chiesto al ministero della Pubblica Istruzione una verifica sui libri di storia «in modo che vengano adottati solo i testi che sono completi di tutti gli aspetti degli eventi drammatici del Novecento che comprendono anche la tragedia delle foibe».

An, il partito che più di tutti si è battuto per l'istituzione della Giornata del Ricordo, è mobilitata contro tutte le forme di negazionismo delle foibe. Un assessore veneto del partito di Fini, Elena Donazzan, si è spinto a criticare Napolitano per il suo discorso al Quirinale: avrebbe mostrato «poca responsabilità» a sottolineare le responsabilità del fascismo, quasi che avesse voluto «giustificare» i crimini.

Al Senato, la giornata del ricordo è stata celebrata in aula dal presidente Renato Schifani, che ha messo l'accento sulla necessità di «costruire una coscienza comune, tra i diversi Paesi della regione, e una memoria condivisa circa le cause e le responsabilità di quanto accadde in quegli anni».

 

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