Per lui la giornata del ricordo delle foibe e dell'esodo degli italiani dall'Istria «è la più bella battaglia della mia vita». Perché la legge che istituisce il 10 febbraio come giornata della memoria di quella tragedia nazionale porta il suo nome, Roberto Menia.
Ma anche perché la famiglia dell'esponente triestino di An e oggi sottosegretario all'Ambiente scappò proprio da quelle terre. E oggi sarà con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno e con le scolaresche che lo seguiranno, a Redipuglia, al sacrario della prima guerra mondiale, da dove partirà il viaggio della memoria.
Che effetto le fa che sia il primo cittadino della Capitale a compiere questo viaggio?
«È il riconoscimento di una storia, di una memoria davvero condivisa. Quella dell'Istria fu una tragedia nazionale: 350mila italiani furono costretti a scappare. Non potevano più parlare la loro lingua e professare la loro religione. Furono costretti a fuggire. C'è chi riuscì a mettersi in salvo, a finire nei 110 campi profughi, gli altri rischiarono la vita, finirono infoibati».
Napolitano, però, appena tre giorni fa ha ricordato anche le colpe dell'occupazione fascista. Che cosa ne pensa?
«Per molti anni quello che è successo è stato nascosto. Poi, quando non si poteva più celare, si sono cercate le giustificazioni».
D'accordo, Menia, il Capo dello Stato ha giustificato?
«Ho apprezzato Napolitano che giusto un anno fa, quando il presidente croato Mesic provò appunto a giustificare, fu duro e fermo nella sua posizione contestando in toto quella tesi. Non ho apprezzato il Napolitano di quest'anno come non possono approvare quello che salutò i carriarmati russi che entravano a Budapest nel '56».
Alemanno porta i ragazzi alle foibe. Una cosa che ha un senso anche nell'immaginario di destra, nel momento in cui il mondo di An si sente distante da Fini. Cambierà qualcosa dopo?
«Il presidente della Camera per la prima volta ha dedicato un'intera giornata a Montecitorio a questa tragedia nazionale. Non credo che si possa parlare di una sua distrazione. Altra cosa è il caso Englaro, io la penso diversamente da Gianfranco, ma è una questione che attiene alle coscienze».
Che cosa consiglierebbe ad Alemanno?
«Nulla. Anzi, no, di fare il ragazzo tra i ragazzi. Porta gli studenti a vedere un pezzo d'Italia, quello è un pezzo della nostra storia, della nostra architettura, della nostra cultura».
Per lei sarà un viaggio carico di sentimenti personali?
«Sicuramente. Mia madre, dopo l'esodo, venne a Roma. Era una giovane maestrina sulla Laurentina, proprio al villaggio giuliano-dalmata. E mi ricordava sempre della zona delle Tre Fontane. Sì, per me questo viaggio avrà un significato particolare».
Fabrizio Dell'Orefice