Roma, 9 febbraio 2019 c/o il Quirinale
Signor Presidente della Repubblica,
Signori Rappresentanti del Parlamento e del Governo,
Autorità
Signore e Signori.
Credo che la ricorrenza odierna rinnovi l’invito a una sintetica riflessione sugli eventi di un periodo drammatico della storia nazionale. Oggi, grazie alla fattiva collaborazione delle Istituzioni la conoscenza di quel periodo è divenuta credibile. Il mondo dell’istruzione si è aperto al nostro tema come dimostra la presenza dei ragazzi qui presenti delle scuole. I ricercatori e gli storici approfondiscono gli argomenti. L’informazione, anche se in modo non sempre adeguato, si interessa alla nostra storia non soltanto in questa ricorrenza annuale. Siamo tutti convinti che il ricordo non vada disgiunto da approfondimenti legati a una conoscenza di quanto accadde. E in questa direzione stiamo facendo progressi. Ma il profilo che ci interessa maggiormente è purtroppo un altro. Mentre da una parte si intende conoscere e approfondire, da altre parti si vuole minimizzare o addirittura negare i drammatici eventi che oggi ricordiamo.
Riduzionismo e negazionismo sono gli ostacoli che vengono costruiti per compromettere il processo di conoscenza. La verità è che la fine del conflitto nella primavera del 1945 non ha significato per una parte del territorio italiano l’inizio di una era di pace. A Trieste e Gorizia per un mese mezzo, in Istria e a Fiume per un lungo periodo che giunge ben oltre la data del trattato di pace del 1947, il potere comunista jugoslavo ha diffuso un clima intimidatorio, perseguitando le manifestazioni di italianità, facendo sparire nel nulla chiunque si potesse presumere come contrario alla annessione alla Jugoslavia comunista, eliminando anche i componenti dei Comitati di liberazione. Con una clamorosa violazione del diritto internazionale si procedeva ad una annessione di fatto del territorio italiano applicando la legislazione jugoslava.
La nomenclatura di Tito e l’OZNA, la sua polizia segreta, avevano operato dal maggio 1945 all’inverno 1946-’47 per diffondere un clima di insicurezza e paura nella popolazione italiana per provocarne l’esodo. L’attentato dinamitardo di Vergarolla (Pola) compiuto in zona di pertinenza angloamericana, il 18 agosto 1946 con un centinaio di morti tutti civili e decine di feriti è stata la prima strage compiuta in territorio italiano dopo la nascita della Repubblica, con il dichiarato intento di scatenare l’esodo. In quel periodo sono stati clamorosamente violati i diritti sanciti dalle convenzioni internazionali a protezione delle popolazioni civili. E le violazioni sarebbero continuate dopo il trattato di pace e il passaggio dei quattro quinti della Venezia Giulia alla Jugoslavia quando la comunità italiana sui trovò ridotta al rango di minoranza. La documentazione a nostra disposizione circa la effettività del dramma delle foibe e dell’esodo è purtroppo inequivoca. Possiamo comprender come sia compito degli storici ragionare sulle motivazioni e cause dei fatti ma giungere a volerli negare, sia affermando che gli eventi non si sono verificati nelle proporzioni che purtroppo conosciamo, sia spesso falsificando le evidenze, è una offesa che non si può ammettere.
Il tentativo maldestro di ridurre le sparizioni delle vittime degli eccidi a episodi marginali, tra l’altro interessanti unicamente fascisti e collaborazionisti, non tiene conto del fatto che nessuno delle vittime è stato mai considerato responsabile di crimini e processato. Siamo semplicemente di fronte a eliminazioni compiute a guerra finita, diciamo così, svolte in via amministrativa, senza l’ombra di capi di imputazione e processi. La verità è che si trattava di eliminare chiunque fosse considerato ostile alla annessione alla Jugoslavia del tempo. I militari prigionieri avrebbero dovuto essere protetti dalle convenzioni di guerra e non certo fatti morire dopo la cattura. I civili, anch’essi protetti dalle convenzioni internazionali, mai avrebbero dovuto subire quella sorte. Quello che è successo sono semplicemente crimini contro l’umanità e come tali vanno considerati. Quanto alla ostinata opera di minimizzazione che si sta portando avanti da tempo credo che le fonti storiche che indicano in molte migliaio gli eliminati siano purtroppo fondate e ben note. Parliamo delle centinaia di uccisioni compiute nelle prime foibe istriane dell’autunno 1943 e delle migliaia di uccisioni dal maggio 1945 in avanti. Non entro nelle citazioni dei dati disponibili. Mi limito a citare una unica fonte che non può essere accusata di fare il tifo per le ragioni degli esuli italiani. L’unico dato su cui da parte jugoslava c’è stata una chiara conferma riguarda il numero dei prelevati e portati in Jugoslavia da Gorizia: nel marzo 2006 il Ministero degli Esteri sloveno ha consegnato al Prefetto di Gorizia l’elenco dei deportati del goriziano contenente ben 1048 nominativi. Di questi è certo il numero di 600 risultati uccisi. E’ abbastanza evidente che se dal piccolo territorio goriziano si dichiara la deportazione di più di mille militari e civili, non ci vuol molta fantasia per avere una credibile misura estendendo in proporzione i numeri alle province di Trieste, Fiume, Pola, Zara.
Alla memoria delle vittime di un periodo drammatico della nostra storia nazionale e al ricordo dell’esodo è dedicato il nostro impegno soprattutto nei confronti dei più giovani.
Giuseppe de Vergottini