Ristampato e nuovamente disponibile il libro di Bruno Tardivelli “Ok Capo, via libera. Fiume 1939-1949”. Si può prenotare anche chiamando la segreteria dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo – Libero Comune di Fiume in Esilio di Padova (0498759050 – licofiu@libero.it).
Pubblichiamo qui di seguito una riflessione sul libro a firma di Egone Ratzenberger uscita sul numero 4/2019 de La Voce di Fiume.
Il libro di Bruno Tardivelli: “Ok capo, via libera”
Vorrei con parecchia commozione dire due parole sul libro di Bruno Tardivelli che ti prende per la mano e per il cuore e ti porta subito subito alla Fiume che hai conosciuto, che molti di voi lettori hanno conosciuto e vissuto.
Però voglio intanto esprimere delle critiche. Eh, che diamine!
Innanzitutto il titolo non rende giustizia allo scritto, ancorché, collocato alla fine del libro, significhi in realtà l’inizio di un’era di pace e di amore coniugale. Nel testo poi si insiste nell’attribuire a mesi, a mestieri, a situazioni ecc., delle lettere maiuscole che mi sembrano più cose da grammatica tedesca. Ma comunque ciò non è troppo importante. Vi è altresì qualche svista tipografica del tipo ben noto a chi scrive anche un semplice articolo e che alla decima lettura “definitiva” del medesimo pesca ancora un’imperfezione, un piccolo sbaglio e pazienza, ma persino talora un marchiano errore che comunque qui non mi sembra ci sia. Manca il nome dell’editore. Ciò fa pensare che, alla russa, il testo sia “samizdat” cioè autogestito. In realtà costituisce un merito in più, forse non voluto, ma che acuisce il senso di realtà, come di chi percorre un sentiero accidentato che infine ti regala una visione eccelsa.
Fiume 1939-1949 è invero un grande libro che ti entra nel cuore come dicevo e ti fa rivivere tutti quei tragici anni. E in realtà non lo si legge ma si beve a grandi sorsi correndo dietro le esperienze di Bruno e anche dietro alle proprie. Si pensi ad es. alla terribile ed avvincente descrizione dei nostri soldati che dopo l’8 settembre rifluiscono verso la rimanente Italia per finire, si capisce, nella spalancata mascella delle truppe tedesche che avevano bloccato Trieste. (Perché già nell’intervallo Badoglio (25 luglio-8 settembre) i tedeschi, senza se e senza ma, si erano appostati sulla ferrovia a sud di Lubiana che era una cosiddetta nostra provincia per occupare senza indugio la città giuliana, come poi fecero, mentre il nostro generale responsabile scappò subito, eroicamente “spostando” il suo comando a Portogruaro; e comunque nessuno aveva pensato a Roma fra un intrigo e l’altro, fra una spaghettata e l’altra, fra un’amante e l’altra ad alleggerire le nostre posizioni nel regno di Jugoslavia, magari con il pretesto di difendere la penisola; del resto gli alleati erano già in Calabria). Mi si scusi l’inciso, ma mi viene sempre da immaginare lo sconcerto e la sofferenza patite in quei giorni dai nostri abbandonati soldati.
Ed è stata la Voce di Fiume, per dire tutta la verità, a pubblicare quella molto veritiera descrizione scritta da Bruno Tardivelli, della ritirata e che ho ritrovato nel libro; ma mi è sembrata però un po’ tagliata. Per favore rimettetecela! Come pure mi sovviene una descrizione commovente del Natale come si festeggiava nella case fiumane. “Scoltè, muli, xe roba nostra”, dei nostri ricordi, che man mano da noi si allontanano in un mescolio di immagini e delle voci di chi ci ha preceduto e ci ha però appreso a vivere in un modo spontaneo e naturale cioè nel tranquillo e senza fronzoli modo fiumano.
Ci si innamora del libro cercando con curiosità i vari periodi.
Seguendo lo svolgersi del periodo precedente la guerra e poi del primo e tutto sommato tranquillo periodo bellico (1940-prima metà del ’43) fatta salva la parentesi del primo esodo dell’aprile 1941, ma il paventato conflitto con i vicini croati non si materializzò; e poi via via esso registra l’imbarbarimento della guerra, le bombe, il rifugio antiaereo, la precettazione al lavoro, la vita sotto i tedeschi, l’arrivo dei partigiani di Tito e l’esodo verso l’Italia. Cioè il nostro calvario.
Sempre con vivezza di linguaggio e della scelta dei termini. Per raccontare il periodo fascista con le sue adunate e l’ingenua certezza che come per altre avventure anche questa volta lo stellone avrebbe aiutato l’Italia, Tardivelli registra con qualche sorriso l’atmosfera di positiva fiducia che, anche per mancanza di libertà di stampa, non subiva incrinazioni; vocaboli come “centuria corale” però ti offrono ricordi su ricordi anche perché le mie inclite sorelle ne straparlavano. Ma fa poi parola dello sconcerto sotterraneo che ebbe a mordere le coscienze in seguito alle sconfitte mascherate da ritirate strategiche (confesso che molto mi confondeva il termine “sganciamento” che attribuivo di più all’aviazione) e al comparire di fenomeni che si credevano debellati come la fame, la penuria delle merci, l’impossibilità di combattere le malattie (fra cui appunto la tisi che si era già portata via la madre dello scrittore e sottrarrà alla famiglia la seconda madre che era sorella della prima). Mentre il padre morirà a causa di scarsi supporti medici (radiografie). Poi il vortice si avvita ed è l’8 settembre; e si perviene alla auspicata occupazione tedesca – voluta appunto dal dinamico generale Gambara per scongiurare l’arrivo da Sussak cioè da oltreponte, dei partigiani che già si erano comportati così orribilmente nella vicina Istria e le brutte vessazioni fasciste non li scusano certo.
Il vostro recensore è ora ad un bivio. Non sa se lodare più le pagine concernenti il periodo tedesco (settembre ’43-aprile’45) oppure quello dei “druzi”. Sul periodo “germanico”, come si amava negli anni precedenti definire le cose tedesche per non risvegliare rimembranze della Prima Guerra mondiale, il libro dà, fra recite di teatro, bombardamenti ed esperienze carcerarie il quadro precario e triste di quei mesi, anche se la vita aveva una forte parvenza di normalità.
Invece il periodo dei druzi, malgrado le ironie dei fiumani (druze Tito, druze Tito, paghime l’afito) è pieno delle false promesse ed ingannevoli prospettive che non vengono affatto subito svelate dall’autore, ma presentate nella loro pervicace e sottile menzogna che infine porta alla disperazione anche gli elementi che in un primo momento pensavano di poter raggiungere un “modus vivendi” con i croati. Intento impossibile con i croati (ed i serbi) comunisti, accecati dall’ideologia, dalla sensazione della vittoria e dal loro stolto estremismo comunista che li porterà alla povertà economica. Come anche negli altri stati della stessa obbedienza.
Ed è questo l’intimo valore del libro di Tardivelli, cioè non quello di fare dell’ironia che sarebbe stata del tutto giustificata (un po’ ce n’è comunque) sulla realtà della situazione o di rivelare subito la brutalità dell’interlocutore, ma piuttosto di accompagnare i fatti del giorno con l’abituale ottimismo di chi desidera vivere e collocarsi bene in quella temperie, ma poi ne è distolto. Arrivano infatti le giornate della disillusione, del desiderio di rivolgersi alla patria italiana, di raggiungerla e di riuscire altresì a trovarvi quella situazione di pace a cui fortemente si aspirava.
Ma c’è ancora una pagina molto bella e forse non ben comprensibile per i giovani di oggi, cioè il fervido, indefettibile amore di Bruno per la sua ragazza, poi fidanzata, poi sua sposa che l’ha accompagnato per circa sessanta anni. Sessant’anni di vita tranquilla ed operosa. A volte il destino ci compensa. Tardivelli lo sente e con il suo dolce realismo lo esprime. Complimenti per il libro! In ogni caso un libro nostro, un libro fiumano.
Egone Ratzenberge