(D.D.D.) Ricordare ciò che è stato, onorare i morti nelle foibe e gli esuli. Guardando però al futuro delle coscienze, sostenendo chi a Fiume, come in Istria e Dalmazia, è rimasto. E si dà da fare per mantenere viva l'italianità.
E' stato Kristian Knez ("italianissimo" giovane storico di Pirano) a chiudere mercoledì in Auditorium le celebrazioni del Giorno del Ricordo. La sua è stata una carrellata storica che ha puntato a dimostrare come, di là dai luoghi comuni, nelle terre dell'Adriatico orientale «l'italianità non sia legata al fascismo e neppure all'arrivo dei Veneziani della Serenissima,
ma è molto più profonda. Tant'è che nonostante i travasi di popolazione la peculiaritàitaliana non è mai andata perduta». Lo storico ha portato alcuni esempi.
Si è citata la peste del 1630 che spopolò l'Istria: «In seguito all'epidemia, insieme ad alcuni bergamaschi e anche bellunesi, arrivarono popolazioni da Oriente, giunsero cretesi e croati. Tutti si italianizzarono, perché la popolazione residente aveva la forza di assimilare, facendo perdere il carettere d'origine». Mentre la Serenissima Repubblica – che dall'Istria faceva arrivare olio, sale e pietre – fu garante nella libertà di sentirsi legati al campanile ("ognuno si sé diceva sono vallese, zaratino, piranese, spalatino"), l'Austria seminò i germi del conflitto. Dopo il 1860 – in particolare in seguito alla battaglia di Lissa – operò secondo convenienza per lo smantellamento di un'osmosi culturale fra entie – la croata, la slovena e l'italiana – che convivevano. Con dispiacere Knez ha sottolineato la realtà d'oggi: «Se andate a Ragusa e ascoltate la storia raccontata dalla guida pare che tutto sia croato». All'incontro hanno portato il saluto il viceprefetto Darco Pellos, il sindaco Antonio Prade, l'assessore Marco Da Rin, il presidente dell' Anvgd Giovanni Ghiglianovich.