di PIERO RAUBER
C’è un pezzo di terra, a 5 chilometri dall’ex confine di Basovizza, dove ieri divise titine, cori anti-italiani e persino un tricolore con la stella rossa in mezzo hanno fatto da barriera a una delegazione di esuli che si era organizzata per omaggiare i caduti delle foibe. Un puntino sulla carta geografica che, per qualche ora, si è chiamato fuori, suo malgrado, dalla Nuova Europa. È l’area attorno al precipizio Golobivnica, nei pressi di Corgnale (Lokev), dove l’Unione degli Istriani – la quota dell’attuale universo degli esuli che in vista dell’ingresso della Croazia nell’Ue rilancia più di altri il tema dei beni abbandonati e delle responsabilità storiche sia dell’Italia che degli stati eredi dell’ex Jugoslavia – aveva promosso in mattinata un pellegrinaggio simbolico. Un pullman in partenza da piazza Oberdan con a bordo 50 persone, in buona parte anziane, poi una breve marcia con in testa un crocifisso, una preghiera, una rosa rossa ciascuno da lasciare sull’orlo del precipizio. E il rientro a casa. Doveva iniziare e finire così, con il conforto delle autorizzazioni richieste preventivamente e ottenute dalle autorità di Lubiana. Tanto per non espatriare col patema che si potesse ripetere l’incidente diplomatico dell’anno scorso, quando il pellegrinaggio a Roditti e Capodistria finì con una doppia multa per manifestazione non autorizzata. Stavolta però è andata peggio. Dopo essere scesa dal bus alcune centinaia di metri prima del punto d’arrivo – c’era un fresco cartello da rispettare, che vietava il transito dei mezzi pesanti – la comitiva s’è imbattuta in un robusto gruppo di contromanifestanti sloveni «di 50-60 persone» che già dall’alba, a quanto pare, avevano occupato la stradina verso la voragine. Oltre a quella cortina umana – non riferibile ad associazioni organizzate, ingrossata pure da alcuni cittadini della minoranza slovena in Italia tra cui Samo Pahor, guida morale dell’associazione socio-politica Edinost – non si poteva andare.
«Già in lontananza – racconta il presidente dell’Unione degli Istriani Massimiliano Lacota – udivamo dei canti e scorgevamo bandiere slovene e jugoslave, e addirittura un grande tricolore italiano con la stella rossa. Quando siamo arrivati davanti a questa gente, in parte giovane e inferocita con in mano bastoni e punte di ferro, ci siamo sentiti dare dei ”porci italiani” e ”sporchi fascisti”». «Alcuni di loro – aggiunge Lacota – avevano in mano immagini dell’incendio del Balkan e di partigiani morti. Ciò che ci ha più impressionato è stato il posizionamento in prima fila di bambini in divisa militare e berretta con stella rossa e falce e martello. Che strumentalizzazione…. C’era chi invitava la nostra delegazione, composta prevalentemente da persone anziane, a venire avanti. Sono partiti degli spintoni e vista la situazione abbiamo concordato con quei pochi poliziotti sloveni presenti, che ci hanno confermato che la contromanifestazione non era autorizzata ma non potevano farci nulla, di fermarci e deporre i nostri fiori sul ciglio della strada». «È stata una vergogna – chiude il presidente dell’Unione degli Istriani – soprattutto perché dietro questa cosa ritengo ci sia una regia in mano alla minoranza slovena triestina. Con noi c’erano ufficiali della Guardia di finanza e pure un osservatore dell’Unione europea che riferiranno nelle sedi opportune. Abbiamo già provveduto a inoltrare una protesta ufficiale al Consolato e all’Ambasciata italiana a Lubiana. Faccio poi notare al nostro sindaco Roberto Dipiazza, che dai contromanifestanti si è preso pure lui del ”fascista”, che dal suo balcone di piazza Unità non riesce evidentemente a notare come non sia tempo di pacificazione. Anzi, di pacificazione non vogliamo più sentir parlare».
Una versione dei fatti – quella di Lacota, il quale rinvia ai fotodocumenti sul sito internet dell’associazione – che, purtroppo, non ha trovato repliche immediate. Non è stato infatti possibile contattare, causa suoi impegni personali, il professor Samo Pahor.