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01 mar – Pagine perdute: un’alunna sul viaggio con Alemanno

PAGINE PERDUTE
 
RIFLESSIONI dopo il "viaggio della memoria" dei 200 studenti di Roma insieme al sindaco Gianni Alemanno

di Lea PALAMARA ( una dei 200 )

E' possibile che vengano strappate intere pagine della storia, della nostra storia, senza che per anni nessuno dica nulla?
E' forse possibile togliere la dignità ad un intero popolo nel silenzio?
E' possibile lasciare le ossa di uomini e donne innocenti, condannati a una fine terribile, in delle fosse oscure senza neppure una degna sepoltura?
Sembra incredibile ma la risposta è sì. 
Le poche e distratte notizie che ci giungono dai giornali e dalle televisioni non danno una vera idea della pesante ingiustizia subita da più di 300.000 persone, obbligate a lasciare le loro case di nascosto e accolte come traditori in Italia dove credevano di ricevere soccorso e conforto, chiusi in campi fatiscenti e ben oltre limite della decenza; tutto questo senza calcolare coloro che per il solo fatto di essere italiani come noi hanno trovato la morte nelle foibe, voragini che penetrano per decine di metri nel terreno carsico. 

Un storia difficile quella degli Italiani istriano – dalmati nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale e un'incognita per i più. 
Quale consolazione può avere un popolo che dopo aver perso tutto, anche la dignità, ha dovuto mettere da parte il dolore e sacrificare i sogni e i ricordi di una generazione intera per rimettersi in piedi senza chiedere aiuto a nessuno? 
Io e altri miei coetanei abbiamo avuto il privilegio di visitare un campo profughi in cui quelle persone smarrite furono ospitate fino a qualche decennio fa.
L'aria fredda di febbraio e l'aspetto fatiscente delle costruzioni, per nulla protette dal freddo, mi aveva già dato un'idea della triste vita che si doveva fare in quel luogo, quando poi una testimone, Anna(?), si è fatta avanti dalla schiera di politici e organizzatori davanti a noi per condividere un po' di quello che aveva passato, un po' della sua storia,e subito la malinconia si è fatta quasi palpabile attorno a noi. 

Un piccolo museo era stato allestito in una costruzione del campo, con il solo denaro degli esuli che erano riusciti a ricostruirsi in qualche modo una vita lontano da quel luogo, anche se dimenticare sarebbe stato impossibile. 
Scritte, oggetti ammaccati,  abiti consunti e rattoppati fino all'inverosimile affollavano quel luogo mentre foto sbiadite di donne, uomini, bambini, anziani, ricoprivano le pareti grigie; ed è proprio in una di quelle foto che credo di aver trovato il significato di tutto quello che avevo visto e sentito quel giorno.
Era la foto di un uomo sulla cinquantina, lo sguardo basso, il volto attraversato da rughe profonde e qualcosa di indefinibile che la impregnava.
Non so dire esattamente cosa quella immagine mi abbia trasmesso, ma ha avuto il potere di stamparsi a fuoco nella mia mente.         
Non ho la pretesa di comprendere davvero il dolore di quella gente, che per tanto tempo non è stato né riconosciuto né rispettato. Ma quello che ho visto e sentito è stata un'esperienza importante, per quanto triste, che sono contenta di aver fatto e che nel mio piccolo mi investe della responsabilità di condividere quello che ho visto e sentito con le persone vicine a me.   
Spero che nei prossimi anni viaggi come quello che ho fatto io vengano ripetuti, in modo che la mia generazione  possa crescere e maturare anche alla luce di questa tragedia consumatasi nel silenzio. 

Roma 23 Febbraio 2009

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