di Silvio Forza
Guido Miglia è morto. Con la sua scomparsa, la comunità degli esuli istriani, fiumani e dalmati ha perso uno dei suoi membri più rappresentativi. Infatti, un personaggio che, dopo il trasferimento a Trieste, è stato insegnante, preside in alcuni istituti superiori, tra i fondatori (nel 1954) e direttore della rivista “Trieste”, ideatore della storica trasmissione radio della Rai del capoluogo giuliano “Voci e volti dell’Istria”, promotore (nel 1982) dell’importantissimo Circolo di cultura istro-veneta “Istria”, pubblicista per i quotidiani “II Piccolo” e il “Primorski Dnevnik” di Trieste, “La Voce del Popolo” di Fiume, e per le riviste “Panorama” di Fiume, “La battana” e “Jurina i Franina” di Pola e autore di libri preziosi quali “Bozzetti istriani” (1968), “Le nostre radici” (1969), “Dentro l’Istria. Diario 1945-47” (1973), “Istria – I sentieri della memoria” (1990) e “L’Istria una quercia” (1997, con prefazione di Fulvio Tomizza), un personaggio così, dicevamo, non può non essere annoverato all’interno dell’élite intellettuale giuliana della diaspora.
Ma Guido Miglia non è stato solo (ovvero, “tanto”) questo: Miglia è stato in assoluto una delle figure capitali dell’esodo, uno dei pilastri della memoria storica riferita non soltanto al “dopo” l’addio all’Istria, ma anche al “prima” e specialmente al “durante”. Miglia è stato infatti il direttore del quotidiano polese "L’Arena di Pola" nel periodo più tormentato della storia cittadina, tra il 1945 e il 1947 quando si dovevano decidere le sorti nazionali della città. E va detto subito che l’uomo Miglia, il direttore Miglia e il giornale da lui diretto sono stati la prova lampante che si poteva essere italiani e opporsi alla cessione di tutta l’Istria alla Jugoslavia pur da posizioni di convintissimo antifascismo.
Dopo l’accordo Tito – Alexander del 9 giugno 1945, l’amministrazione di Pola venne affidata al Governo Militare Alleato degli anglo-americani. Il resto dell’Istria, la cosiddetta zona B, venne unita direttamente alla Jugoslavia. In città si scatenò subito la lotta politica: i polesani filojugoslavi, quasi tutti italiani, votati però alla causa comunista, erano raccolti nell’organizzazione di massa “Unione Antifascista Italo-slava” e potevano contare sul quotidiano "Il nostro giornale", diretto da un figlio di operai, il professor Domenico Cernecca.
Sull’altro fronte c’erano i polesani filoitaliani, quasi tutti italiani e quasi tutti antifascisti, il cui quotidiano era "L’Arena di Pola" diretto da un figlio di operai, il professor Guido Miglia. Dunque, la lotta per una Pola italiana o per una Pola jugoslava era mediaticamente “coperta” da due giornali scritti in italiano da giornalisti italiani. Uno dei mille paradossi istriani…
Quelli de "Il nostro giornale" erano convintissimi che la vera libertà poteva essere raggiunta solo all’interno della Jugoslavia di Tito e scrivevano frasi del genere: “tutti gli antifascisti e democratici sanno che i delitti fascisti erano possibili solo perché il potere non era nelle mani del popolo” oppure “solo i resti del fascismo non vogliono la Jugoslavia” e ricorrevano inoltre a una fraseologia straripante di termini come “borghesia crassa”, “nemico del popolo”, “reazione internazionale”, “sciovinismo”, “profittatori di guerra”, “neofascisti socialfarabutti”.
Anche per questa ragione "Il Nostro Giornale" (ribattezzato dagli “altri” come “Il mostro”), aveva una dose di carica che difettava all’altro foglio. Di questa relativa debolezza si accorsero pure i lettori dell’"Arena," uno dei quali scrisse una lettera in cui notava che “il giornale sembra timido, troppe volte è incolore; è come in castigo di fronte all’altro”. Ma è nella risposta del direttore che si colgono quelle aperture verso l’altro che caratterizzeranno tutto il pensiero successivo di Miglia:
“Voi vorreste forse che ci scagliassimo giornalmente contro “gli Slavi”, che polemizzassimo continuamente con “Il Nostro Giornale”…, no miei cari, nulla da fare. Nulla da fare in primo luogo perché la nostra non è mai stata una campagna contro gli Slavi”.
Ma è specialmente la frase seguente che getta più luce su quei fatti storici: “desidero rilevare ancora” scriveva Miglia “che quella esagerata insistenza nel suggerirci azione e combattività suona un po’ di… fascismo…”. E più avanti: “la stessa rivalità che oggi ci può essere tra gli Italiani e i nazionalisti Slavi riguarda soltanto gli antifascisti”.
Quest’ultima parte della risposta è di un interesse non indifferente. Emerge distintamente il fatto che la lotta politica a Pola era limitata alla componente antifascista della città. Questa verità storica è stata sempre negata da parte comunista che aveva fatto coincidere sentimenti nazionali italiani con orientamento fascista e neofascista.
Ancor più illuminante è una lettera aperta che Guido Miglia rivolse al suo omologo Domenico Cernecca: “ Noi”, osservava Miglia “vogliamo soltanto difendere le posizioni italiane in Istria, interpretando il senso della linea etnica… cioè chiediamo anche per gli Italiani della Venezia Giulia il diritto fondamentale di autodecisione. Dopo il 1.mo maggio 1945, lei ha creduto che ormai la Venezia Giulia sarebbe stata annessa, senza alcun dubbio, alla Jugoslavia ed ha orientato la sua parte in tale senso nazionalistico. Io non ho mai pensato che così duramente si volesse punire il popolo italiano, a causa di una politica criminale distrutta dal popolo stesso. Ho sempre creduto in un’Italia antifascista.
Lei, finché difende la sua parte ed i suoi ideali (se anche per questi ideali Lei avvilisce il popolo italiano), crede di agire conseguentemente alla lotta che ha sostenuto nei boschi dell’Istria. Ma quando, per l’affermazione di questi interessi, Lei fa opera evidente di sobillazione delle masse, tradisce l’antifascismo e la causa del proletariato. Finché Lei scriverà o lascerà pubblicare articoli in cui ci si taccia di “socialfarabutti”, di “mani lordate di sangue”, di “sterminatori del popolo”, di “delinquenti”, ed altro, non farà altro che sobillare l’odio ed al sangue la sua parte. Pare alle volte che Lei voglia vedere il sangue scorrere per le strade, e non certo sangue di criminali fascisti, ma di coloro che oggi hanno qui tutto il diritto di difendere le posizioni italiane. Perciò, prof. Cernecca faccia opera di moderazione presso la sua parte, poiché, Italiani e Slavi, qui siamo istriani”.
Tutti sappiamo come andò a finire la storia, cioè con il Trattato di Parigi dell’oggi famoso 10 febbraio. E in quei giorni Miglia scrisse: “davanti alla dura realtà con le sue tristi immagini di carri che transitano carichi di mobilia, di negozi che chiudono, comincia a pesare in gola la loro “maggioranza”, la loro “massa che anela”. Rimanere?
Sì, lo potranno soltanto coloro che domani, partita l’ultima nave, sentiranno ancora il coraggio di riscrivere tranquillamente sul loro foglio la frase beffarda: libertà ai popoli”.