di Aljoša Curavić
Al mondo ci sono quattro miliardi di persone che posseggono il cellulare. Tante. Praticamente tutti siamo collegati con tutti. Abbiamo la finestra aperta e potenzialmente tutti possono sbirciare fra le nostre cose. In buona o in mala fede. Malgrado questa “indigestione telecomunicativa” ho la sensazione che stiamo attraversando un periodo di astiosa incomunicabilità. Mi sento più vicino all’Africa che all’Europa.
Da queste parti non si riesce a comunicare neanche sul significato da dare ai morti ammazzati, giustiziati in massa, serialmente, sommariamente, senza processo e a guerra finita. Dopo l'ultima macabra scoperta dell'ennesima fossa comune in una miniera di Laško, in Slovenia si è riaccesa la guerra ideologica che sta dividento il Paese a metà e avvelena la società con toni da Seconda guerra mondiale. La politica in tutti questi anni non è riuscita a conciliare gli animi e non perde un'occasione per strumentalizzare, a destra e sinistra, per fini elettorali, questioni che andrebbero affrontate con un nuovo umanesimo.
C'è solamente una cosa che è peggiore dell'arroganza di chi ha incominciato una guerra, l'arroganza dei vincitori che non vogliono finirla.
In un comunicato fatto circolare da un'associazione dei combattenti della Slovenia, molto attivi ultimamente, leggo che in Jugoslavia e in Slovenia la Seconda guerra mondiale non è finita, come altrove, nel maggio del 1945, né in giugno, in quanto i confini jugoslavi e sloveni non erano stati ancora riconosciuti dagli alleati che, anzi, minacciavano il territorio sloveno nazionalmente puro (čisto slovensko nacionalno ozemlje). Non sono uno storico e quindi non entro nel merito dei fatti storici avvenuti durante e dopo il secondo conflitto mondiale; ciò non toglie che vorrei capire se la guerra, per qualcuno, è ancora in corso. Ammetto di non capire chi mette l'accento sulla purezza nazionale dopo che ha combattuto per valori comunisti da sempre sposati ad una dimensione internazionale, sia pure con deviazioni totalitarie disumane. Quella del territorio etnicamente puro è una costante nella politica e nella cultura slovena. Lo si vede nei rapporti con i vicini di casa e nella non alta considerazione che si dà al multiculturalismo come valore costitutivo di un territorio. Basti pensare alle bizzarre proposte che stanno facendo presa in queste settimane, come quella di un referendum per definire la sovranità etnica, nazionale sull'Istria. Archiviate, si fa per dire, le ecatombi fasciste, naziste e comuniste, rischiamo di trovarci in un'Istria spartita fra tribù in perenne conflitto per la definizione dei confini di un cimitero. Altroché l'Africa!