Mai come dopo il 2004, anno dell’istituzione del Giorno del Ricordo, si è visto un periodo così florido di libri sull’esodo giuliano dalmata. Saggi, ricerche storiche, testimonianze e romanzi: vari autori si stanno buttando in questa indagine per troppo tempo, dal secondo dopoguerra, relegata nel silenzio. Non sono solo memoriali afflitti da vittimismo, come osano sostenere i giustificazionisti, i riduzionisti e i negazionisti del tema delle foibe. Si possono trovare anche ampi studi accademici, inchieste giornalistiche, racconti, liriche, ricerche archivistiche, con interviste e sopralluoghi sul campo.
È il caso anche di questo libro. Giuliana Pesca, Serena Domenici e Giovanni Ruggiero, con una grande esperienza d’insegnamento, si sono messi di buzzo buono a scovare atti, dati, statistiche e lettere nell’Archivio di Stato di Arezzo riguardo al Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina, attivo dal 1948 al 1963. Hanno finora trovato e pubblicato il numero di profughi passati per quel Crp aretino, uno dei più importanti del Centro Nord del Paese. Sono oltre 9mila (vedi pag. 10) i transiti per le fatiscenti baracche di Laterina, già ad uso di Campo di concentramento fascista (1941-1943). Sono 12.509 quelli che passano dal Crp di Arezzo capoluogo negli anni 1945-1946 (p. 18). Si tratta di cifre notevoli. Non sono solo gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia ad entrare, volenti o nolenti, nel Crp di Laterina perché c’è pure una bella fetta di profughi espulsi dalle ex-colonie di Libia, del Dodecaneso, o da altri territori di precedente insediamento storico di italiani, come la Romania e la Tunisia.
È appena il caso di rilevare che un precedente saggio, del 2017, attribuiva al Crp di Laterina un totale di 588 ingressi; vedi: L. Benedettelli, Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea (ISGREC). Ciò per dimostrare, come succede in altri casi, che le ricerche e gli studi non sono mai definitivi, soprattutto se svolti solo su alcune carte dei direttori dei Crp, scritte per tenersi buoni i rispettivi prefetti. È una tendenza assai pericolosa per certi storici, di solito ideologizzati (o, peggio, indottrinati) di andare a sminuire o diluire i dati, le vicende e i dolorosi destini dell’esodo giuliano dalmata. C’è chi va oltre, definendo tutti fascisti quei quattro gatti che abbandonarono il paradiso di Tito.
Se volete saperne di più sui Campi profughi della guerra fredda, questo è il libro giusto. Se volete conoscere molto sul Crp di Laterina, questo libro va benissimo. Anzi, si va ben oltre, perché in poche pagine c’è pure un cenno alla Shoah libica. A dire il vero, detto argomento sconosciuto ai più, meriterebbe una ricerca a parte e, soprattutto, come direbbe un mio amico toscanaccio: gl’è che un c’entra nulla col Crp di Laterina.
Si avverte il lettore che, nella presente recensione, si intende ampliare il tema di fondo di questo interessante ed innovativo Tracce d’esilio. In ogni caso qui il lessico è rispettoso dei drammi dell’esodo d’Istria, Fiume e Dalmazia. C’è pure un po’ di storia della colonizzazione in Libia del Regno d’Italia (1911) e del fascismo (1930). Pare piuttosto carente, a mio modesto parere, il retroterra storico degli italiani in Istria, Fiume e Dalmazia; “italiani” in senso dantesco. Essi rappresentano la componente maggioritaria, stando ai dati scoperti dai tre autori, dei 9mila profughi passati al Crp di Laterina. Ci si sarebbe aspettati un po’ di più riguardo alla loro stessa provenienza. Erano tutti regnicoli, cioè portati dal resto del Regno dal fascismo, o attirati dalle possibilità lavorative? So che sarebbe stato lungo descrivere la colonizzazione romana degli Istri, la fondazione di Aquileia (181 a.C.), capitale della X regione augustea e l’immissione di popoli slavi per ripopolamento, solo dopo il VI-VII sec. Poi è importante il Placito di Risano; non è mica un pacchetto di bruscolini! Il Placito del Risano è un documento risalente all’anno 804, che riassume, in qualità di verbale di arbitrato, l’assemblea giudiziaria svoltasi in una località presso il fiume Risano, vicino a Capodistria, tra i Missi dominici di Carlo Magno e i delegati dei borghi istriani, molti dei quali di fondazione romana.
In esso vengono esposte le recriminazioni di 172 testimoni giurati, rappresentanti di città e borghi fortificati istriani, circa l’operato dei vescovi istriani e del duca franco Giovanni, discendente del re longobardo Astolfo. I nobili locali e le municipalità tardo romane lamentano l’esosità dei vescovi e le violazioni di consuetudini acquisite durante la dominazione bizantina, come i diritti di erbatico e ghiandatico. Soprattutto protestano per l’aumento dei contributi (per la maggior parte in natura) e dei lavori obbligatori richiesti dal duca, per la sua ingerenza nella gestione della servitù e delle terre comuni, nelle quali ha insediato Slavi pagani.
Poi c’è il potere del Patriarcato di Aquileia, di discendenza romana, longobarda, ma non slava! Dal 1420 si sviluppa il dominio di Venezia fino al 1797, data del Trattato di Campoformido, con cui Napoleone svende il Veneto, il Friuli, l’Istria e la Dalmazia della Serenissima Repubblica di San Marco agli Austriaci. Poi c’è il Novecento, con due guerre mondiali, il fascismo con le sue nefandezze contro gli allogeni e le eliminazioni di italiani nelle foibe, per pulizia etnica, per mano dei miliziani di Tito, per finire con le fratricide guerre iugoslave degli anni ’90, o guerre patriottiche, come amano scrivere gli storici slavi del sud.
Ce n’è voluto di tempo perché perfino gli storici più blasonati accogliessero la cifra di 280-300mila individui in fuga dalle violenze e prevaricazioni dei titini, dell’OZNA e dell’UDBA, i servizi segreti iugoslavi. Per spiegare i motivi dell’esodo si possono citare alcuni significativi passaggi del discorso del Presidente Sergio Mattarella per il Giorno del Ricordo del 2019 (https://www.quirinale.it/elementi/22297 ): “Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo (…). Chi resisteva, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla (…). Il braccio violento del regime comunista si abbatteva furiosamente cancellando storia, diversità, pluralismo, convivenza, sotto una cupa cappa di omologazione e di terrore (…). Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti.” Insomma certi italofoni, come i Bonetti, sono presenti in Dalmazia sin dal 1200, segnando la storia di Spalato, di Zara e dell’Isola di Brazza.
Proprio nel 2021, per la prima volta in Slovenia, Katja Hrobat Virloget, giovane antropologa dell’Università del Litorale (Capodistria), finalmente scrive di “eksodus” nel suo libro intitolato V tišini spomina, Eksodus in Istra, che tradotto è: Nel silenzio della memoria, dell’esodo e dell’Istria. Finora gli storici iugoslavi e, dopo il crollo della Jugoslavia (1991), quelli sloveni, croati e montenegrini, hanno sempre parlato di pochi trasferimenti di italiani, nel secondo dopoguerra dall’Istria, Fiume e Dalmazia, mai di esodo, di silenzio dei profughi e di paura dei rimasti.
Andiamo per ordine – Prima di tutto questi tre autori riguardo al tema delle foibe, scrivono apertamente di “eliminazione delle vittime, in genere uccise in seguito a fucilazioni collettive, dopo aver legato insieme i loro polsi col fil di ferro” (p. 35-36, nota 35). Certo, ormai c’è un’ampia letteratura sul tema, ma vorrei ricordare che in Friuli, negli anni 1980-1990, se in pubblico qualcuno avesse nominato l’eccidio di Porzùs o le uccisioni nelle foibe istriane, si levavano i possenti ruggiti dei vecchi partigiani comunisti e, tra grida ed insulti, aveva termine l’incontro democratico.
I tre autori citano, di sfuggita, il Centro di smistamento profughi di Udine (pp. 21 e 38). Ebbene tale Csp si è verificato quale luogo nevralgico delle fughe dall’Istria, Fiume e Dalmazia, dato che vi transitarono oltre 100mila individui, per essere sventagliati in oltre cento Crp sparsi nella matrigna Italia. Io lo so, perché son cresciuto lì vicino, giocando coi figli dei profughi poi, da laureato, ho scritto alcuni libri sull’argomento sugli italiani delle terre perse, definiti Italiani due volte, per nascita e per scelta. Molti profughi giuliani passano da Trieste, Udine e finiscono a Laterina.
Mi sembra, invece, che siano italiani a metà quei gruppi di espulsi dalla Tunisia dopo il 1956, detti les petits blancs. Essi da almeno quattro generazioni si trovavano lì per lavoro, non per la colonizzazione fascista. Diverse centinaia, se non qualche migliaio di loro finiscono al Crp di Laterina, dopo il 1960, ma al momento di uscire dal Campo preferiscono essere naturalizzati francesi (pp. 61-76). Ciaone Italia! Sono circa 14mila gli italiani di Tunisia naturalizzati francesi (p. 69). Essi transitano per vari Crp d’Italia, soprattutto del Meridione: Canzanella Vecchia a Fuorigrotta (Napoli), Barletta (BA) e Gaeta (LT).
Nel libro Tracce d’esilio c’è un’ampia descrizione giuridica sul Diritto d’opzione, esercitato dagli Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, sul premio di primo stabilimento nel momento di uscita dal Campo e sulla Legge Scelba, riguardo all’erogazione dei viveri nel Crp (pp. 81-85), e sul diritto del 15% di assegnazione di case popolari agli esuli dei Crp superaffollati (p. 98). Le fonti orali riportate recano il nome in chiaro ed il cognome puntato, facendo insospettire i negazionisti, che potrebbero tacciare tali testimonianze di essere anonime, ma questo compito lo lasceremo a loro.
Nel volume è citata, a pag. 47, la strage di Vergarolla, 18 agosto 1946, quando nell’attentato titino morirono oltre cento persone, segnando la fuga di massa da Pola, 28mila e 500 italiani in eksodus su 32mila abitanti totali. Anche questa è pulizia etnica? L’interessante volume dei tre autori è arricchito da una quarantina di tabelle statistiche, 5 grafici, 3 carte geografiche, fotografie e da, chiedo scusa al lettore se mi ripeto, un gradissimo lavoro di apprezzabile ricerca d’archivio. Peccato che qualche fotografia sia così piccina.
In Tracce d’esilio, insomma, si possono trovare le esperienze vissute nella baracca dei disagi, il disorientamento psicologico, la delusione per le terre perse e la disillusione della politica di una nazione che usciva perdente da una guerra voluta dal duce e dal re. Ci sono le privazioni, la coda per prendere l’acqua dalla fontana del Campo di Laterina e la necessità di farsi coraggio per ricominciare da capo. È ben riportato il contorto tentativo di reinserimento nella società, nel periodo particolarmente complesso della ricostruzione post-bellica e il voto alla DC di Fanfani. Ci sono le controversie nell’opinione pubblica tra condanna e sublimazione del periodo fascista e del passato coloniale, di cui spesso i profughi hanno pagato tutto e solo loro l’han fatto per gli italiani tutti.
Giuliana Pesca – Serena Domenici – Giovanni Ruggiero, Tracce d’esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa, Città di Castello , Biblioteca del Centro Studi “Mario Pancrazi”, Edizioni NuovaPrhomos, 2021, pp. 224, euro 20.
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Recensione di Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Attività di ricerca e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettore: Claudio Ausilio (ANVGD) di Arezzo.
Ringraziamenti – La redazione del blog ringrazia gli autori del volume Tracce d’esilio per i costruttivi pareri ricevuti in seguito alla pubblicazione della presente recensione.
L’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. e-mail: anvgd.udine@gmail.com