“Semo partidi in quattro col camion dalla piazza de Albona nel 1948, da dove i partiva gli italiani – ha detto Annamaria Manzoni – mentre le nostre masserizie se finide a Catania e se sparida tanta roba. Iera cassoni de inciodar, no me rendevo conto che se doveva partir. Posso parlar in dialeto, me manca tanto, nei anni passadi parlavo solo con mia sorella Gianna, che no se più. I nostri veci se restadi a Albona, dove rivava i serbi e altri jugoslavi. Semo rivadi al Silos de Trieste, no iera un Campo profughi, iera un posto tremendo, tutti ammassadi, semo stadi lì per un mese, ierimo tanti e tutti de colpo”.
E poi cosa è successo? “Mio papà, Giovanni Manzoni, va da una sua zia de Trieste per domandarghe se podevimo star da lei – ha aggiunto la Manzoni – ma la ga rifiutado, a Trieste no voleva i fioi, ma dopo xe stada costreta a tignir in casa vari altri profughi, perché a Trieste iera tutto pien. Dopo ne ga mandati a Udine per due giorni al Centro smistamento profughi e da lì destinadi a Laterina”.
La famiglia Manzoni sta al Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina fino al 27 aprile 1951, come risulta dall’Elenco alfabetico profughi giuliani del Comune di Laterina, numero del fascicolo 368, per poi andare a Torino. Signora Annamaria Manzoni cosa ricorda del Crp di Laterina?
“Cameroni e divisori con tende, i servizi igienici iera de fora – è la risposta – i lavatoi iera de piera e bisognava far la fila per andar in bagno, papà e mamma iera preoccupadi per quel posto col filo spinato intorno, però iera bel con le alte foglie de tabacco e le vigne nei campi vicini, i contadini locali i accusava i profughi dei furti dell’uva, dopo una strada sterrata se rivava nel bel paese, dove se comprava un po’ de roba col sussidio al capofamiglia, noi muleria [ragazzi] se andava in riva dell’Arno, iera belle passeggiate. Nell’estate del 1949 mi e mia sorella Gianna ierimo anche in colonia a Torre Pedrera, vicin de Rimini, se faseva tanti canti, come il ‘Va pensiero”.
Ricorda qualcosa d’altro della Toscana? “Sì, in Toscana mio papà ga trovado un commiliton de prigionia – ha replicato – ciapadi dai tedeschi dopo de l’8 settembre 1943, lui iera un Montevecchi de Figline Valdarno (FI). Iera prigionieri al Campo de concentramento de Markt Pongau, in Austria, i doveva lavorar in una fabbrica de marmellata e mio papà, per la fame aretrada, magnava ‘sta marmellata, così se ga cjapà una bruta gastrite. Con le famiglie Corinto e Serafino Montevecchi iera molto affetto, tanto che la mia madrina della prima Comunion nel 1950 xe stada la signora Delia Montevecchi”.
In effetti il nome di Annamaria Manzoni risulta nel registro dei Cresimati, custodito presso la Parrocchia dei Santi Ippolito e Cassiano a Laterina (APLa). Signora Manzoni, so da un articolo, del 2020, di Glenda Venturini su Valdarnopost.it che lei è stata in un collegio religioso per vari mesi. “È vero, mio papà non voleva che perdessi l’anno, dato che in Campo profughi non era iniziata la scuola – ha spiegato la testimone – allora per la classe quarta elementare me ga messo in un orfanotrofio de suore agostiniane, che me ga voludo ben e son stada promossa, iero l’unica istriana, il collegio el xe a San Giovanni Valdarno, ma go anche un ricordo triste, perché noi putele in divisa dovevimo partecipar al corteo funebre de ogni deceduto, quel fatto me dava tanta tristezza”.
È mai ritornata ad Albona? Ho inteso che là c’erano dei suoi parenti? “A Albona xe restadi il nono Dario Manzoni, anche perché i Manzoni iera a Albona dal 1600, soto de la Republica de Venexia, e la nona Giorgia Scilli – ha concluso Annamaria Manzoni – tornavimo a Albona in estate da Torino, la prima volta nel 1953, la mia mamma Maria Brencich, mi e mia sorella Gianna col visto del Consolato Jugoslavo de Milano, papà no ga voludo, iera tanta miseria, mancava tutto, ma i noni iera contenti de vederne, la mama al confin xe stada controlada quasi da svestida, dopo mi son tornada da sola nel 1956 in treno fin a Fiume e in corriera fin a Albona, me ricordo che se andava al mar con le amiche, iera muli [ragazzi] che tornava dall’America, soto de Tito iera dei altoparlanti che sveiava tutti quei serbi vignudi a lavorar, go visto i cambiamenti dela Jugoslavia, rivava i dolari e no più i rubli, me ricordo un ragazzo tornado con la Fiat 600 nei anni sessanta, lui se vantava che in Italia con un salario se comprava quella macchina, ben in 24 ore el ga avudo el foglio de via e i lo ga espulso. Iera tempi così”.
Note a parte – È il caso di ricordare che per il Giorno del Ricordo del 2017 a Udine, al termine delle cerimonie al Parco Vittime delle Foibe (dal 2019 mutato in Parco Martiri delle Foibe), vista la bella giornata, molti esuli e i loro discendenti si sono fermati a ricordare i fatti di famiglia accaduti in Istria, a Fiume e in Dalmazia. In quei momenti gli esuli hanno aperto il loro cuore e hanno raccontato fatti mai rivelati sino ad allora. Si è ascoltato, ad esempio, dalla signora Lidia Rauni, nata a Santa Domenica di Albona nel 1936, che suo papà fu infoibato il 2 novembre 1943, assieme ad altri 16 compaesani Si chiamava Giuseppe Rauni, del 1902, ed è menzionato nel libro scritto da padre Flaminio Rocchi nel 1990, a pag. 256.
Da ultimo si nota che le vicende dei partigiani jugoslavi e delle eliminazioni di italiani per mano titina del 1943-1945 sono descritte perfino nel romanzo storico di Stefania Conte, intitolato La stanza di Piera, in cui Libero, il protagonista partigiano, è proprio di Albona.
Ha voluto parlare anche Bruna Travaglia, nata ad Albona nel 1943. “Nella foiba di Vines i titini hanno gettato la gente italiana di Albona – ha esordito la signora Travaglia – come mio nonno, Marco Gobbo, della classe 1882, nato a Brovigne di Albona, poi hanno ammazzato così pure mia zia Albina Gobbo, di 31 anni, detta ‘Zora’ e pure il cugino di mio nonno, di 25 anni circa, lui era dei miei parenti che ho a New York, eh sì, i titini li hanno portati via il 18 maggio 1944 per gettarli nella foiba, pensate che mia nonna Lucia Viscovi, che abitava a Brovigne non ha voluto venire via perché diceva: ‘Se i torna, no i trova nissun’. Qualcuno dei prelevati era riuscito a sopravvivere, nascondendosi in un momento di confusione, così raccontò che prima hanno ucciso mia zia e una sua amica buttandole in una foiba piccola, mentre gli uomini li hanno tenuti prigionieri, perché così portavano munizioni e robe pesanti, poi li hanno fatti fuori anche loro”. Il capo partigiano che portava verso la foiba i prigionieri gridò: ‘Manca la Zora, dove xe la Zora?’. Il gruppo tornò in paese a cercare la Zora. Trovata, fu imprigionata e gettata nella foiba pure lei.
Si aggiunge solo che il nome di Albina Gobbo “Zora”, di Brovigne di Albona, non compare nell’elenco di oltre 400 donne uccise dagli jugoslavi e gettate nelle foibe, nei pozzi minerari, nelle cave o nelle fosse comuni, pubblicato nel 2014 da Giuseppina Mellace. La stessa autrice riporta che nel periodo 1943-1945 “ben 10.137 persone [sono] mancanti in seguito a deportazioni, eccidi ed infoibamenti per mano jugoslava” (pag. 236).
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Progetto e ricerca di Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo). Intervista di Elio Varutti (ANVGD Udine). Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Anna Maria Manzoni, Dario Ferrando (Torino), Claudio Ausilio, Alessandro Porro (Pordenone), professori Enrico Modotti e Marcello Mencarelli (Udine). Grazie a Dario Ferrando e a Roberto Montevecchi (Laterina) per la gentile collaborazione alla ricerca. Copertina: Laterina, Centro raccolta profughi, Annamaria Manzoni alla prima comunione, con la sorella Gianna, altri fanciulli e il filo spinato. Collezione Annamaria Manzoni, Torino.
Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
Fonte: Varutti e Esuli giuliani, Udine. Storie di Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli e dintorni – 26/09/2021