Quando si pensa alla scomparsa dei fratelli Gulin di Umago, ancora oggi si usa dire: “Sono stati inghiottiti dalla notte”. Sono il simbolo del popolo scomparso, nelle foibe, o chissà dove. E ancora oggi nessuno sa spiegarsi perché. Non erano nemici del popolo, anzi, hanno aiutato chi hanno potuto, eppure nel dopoguerra sono finiti nelle mani dell’Ozna. Ogni anno, il 29 novembre, i Gulin vengono ricordati, se non altro con qualche simbolica cerimonia. Ma anche senza fiori o parole, non sono stati dimenticati: né da chi ha scelto la via dell’esodo, né da chi è rimasto. Ricordati perché, come dicono ancora oggi gli anziani di Umago: “Non avevano fatto nulla di male ….”.
E non va assolutamente dimenticato che poco dopo sarebbero iniziate anche le persecuzioni nei confronti degli italiani rimasti, con la chiusura del Circolo italiano di cultura, la demolizione delle tabelle italiane… finite appena negli anni 60 del secolo scorso.
Nel volume dal titolo “I fratelli Gulin di Umago”, nella presentazione firmata da Silvio Delbello, ex presidente della Famiglia Umaghese (Unione degli Istriani, Trieste) si dice:
“Nel piccolo Comune di Umago, quasi il sette per cento della popolazione totale perì negli anni della Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra: ben 150 caduti, dispersi, deportati, infoibati, vittime di bombardamenti e mitragliamenti, tutti accomunati da un unico fattore comune, la vita violata per mano dell’uomo. Alle violenze della guerra fecero infatti seguito le persecuzioni ancora più terribili del dopoguerra, con infoibamenti e intimidazioni di ogni genere, soprattutto nei confronti della popolazione italiana. Tante persone e famiglie del territorio umaghese furono tragicamente coinvolte dal nuovo regime comunista jugoslavo, con frequenti episodi di prelevamento dalle loro case e sparizione per infoibamento. L’episodio più eclatante è quello dei tre fratelli Gulin, mugnai di Umago, noti in paese per la loro onestà, la generosità e la devozione religiosa. La sera del 29 novembre 1946 i tre fratelli, Giovanni, Ferdinando e Germano, uscirono dalla loro casa per non ritornarvi mai più. Questo volumetto è a loro dedicato, con il ricordo sempre vivo dei familiari. I fratelli Gulin sono il simbolo di tutti coloro che sono drammaticamente scomparsi nel nostro Comune in quegli anni e ci auguriamo che la loro memoria possa avere degno rispetto e riconoscimento”.
Umago Viva del 1971 narrava poi: “Avvisati da qualcuno che si tramava di arrestarli, essi lasciarono la loro casa, diretti non si sa bene dove, se all’appuntamento con il ‘doppiogiochista’ o alla riva per tentare la fuga in barca. Da allora non si seppe più nulla. Varie le voci e le congetture sorte dopo la loro sparizione. Una però la tesi più avvalorata e cioè che i fratelli Gulin, nel momento in cui tentarono la fuga, vennero uccisi nel macello locale, messi nei sacchi e fatti sparire. Nel febbraio del 1947 iniziarono a demolire il molino e il torchio asportando tutti i costosi e insostituibili macchinari e quelli più ingombranti spaccandoli e gettandoli dalle finestre nel sottostante cortile. L’insano furore ridusse a zero una floridissima e utile azienda, che di lì a poco fece sentire la sua mancanza, non avendo i contadini altri mulini a cui rivolgersi, in quanto l’altro esistente a Umago, non era in grado di soddisfare tutto il lavoro”.
I Gulin vengono ricordati sia per il Giorno dei defunti che nel Giorno del ricordo, dagli umaghesi di Umago e di Trieste e il 29 novembre di ogni anno con una piccola cerimonia dalla famiglia. Anche senza parole, però, questi ricordi fanno male, perché l’esodo, che ha diviso gli umaghesi subito dopo la Seconda guerra mondiale, ha cambiato la vita a tutti smembrando le famiglie. A ricordare gli umaghesi defunti e sepolti lontano dalla loro terra c’è sulla facciata della cappella del cimitero di San Damiano una targa posta congiuntamente dalla Famiglia umaghese e dalla Città di Umago. Davanti a quella targa si riuniscono in preghiera gli umaghesi esodati e quelli rimasti, per ricordare i defunti. Purtroppo, nemmeno dopo tanti anni le ferite si sono rimarginate. Come quella del 29 novembre del 1946, con la scomparsa di Giovanni (51), Ferdinando (37) e Germano detto Massimo (36) Gulin. Uomini legati alla famiglia, lavoratori instancabili, titolari di una solida e fiorente industria di molitoria, con un mulino e un frantoio, i Gulin erano per i contadini della zona un riferimento importante. Nei tempi difficili della guerra aiutarono anche chi chiedeva loro un po’ di farina e d’olio per sfamare la famiglia.
Franco Sodomaco
Fonte: La Voce del Popolo – 30/11/2021