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Etichettature storiche senza schematismi (Il Piccolo 16 apr)

LETTERE

L’intervento di Stelio Spadaro dal titolo «Fascismo di confine» e pubblicato domenica 5 aprile scorso su «Il Piccolo» espone un punto di vista sulle vicende dell’Adriatico nord-orientale che appare per molti versi opinabile. Innanzitutto va rilevata un’idea alquanto superficiale della storiografia – un banale riportare i fatti, e per nulla un lavoro di interpretazione contestuale di documenti. C’è in questo scritto un curioso tentativo di debilitazione di schematismi ideologici attraverso una semplice «adequatio», trascurando la differenza dei loro contenuti – non si sa bene se perché «ideologici» o in quanto «schematismi». L’impressione è di trovarsi di fronte ad uno scritto che si allinea ad una visione dei fatti storici prêt-à-porter molto alla moda, dove comunismo e fascismo si equivalgono. Ma dare per scontato che il fascismo sia un'ideologia è indizio di una visione faziosa – proprio ciò che Spadaro depreca. A tale scopo l'autore ricorre ai più adusati tormentoni della storiografia di più basso profilo, come quelli di «sloveno uguale comunista», «italiano uguale fascista», «fascista uguale antislavo». E tutto ciò non è essere fazioso, di quella faziosità che non osa dichiararsi in un’ideologia preferendo piuttosto nascondersi dietro un fantomatico oggettivismo storico?

È giusto, come sostiene Spadaro, allineare i fatti storici di cui si discute qui con eventi analoghi che si verificarono al tempo in altre zone d’Europa, se non altro per ridimensionarne la portata – ma questo lui non lo scrive. E Spadaro ha ragione anche quando dichiara che l’opinione pubblica nazionale ha fatto passi da gigante nel prendere coscienza dei fatti in questione. Tuttavia a Trieste le cose non vanno allo stesso modo, e vi si registra un certo ritardo di presa di coscienza. Quello che solitamente si chiama «problema slavo» è prima di tutto un fatto locale, che nasce molto prima del fascismo. Spadaro accenna vagamente a una «storica conformazione multinazionale» di queste regioni di frontiera, come se in passato Trieste fosse stata una sorta di paradiso di convivenza. Sì, dove gli slavi erano deputati ai lavori più umili – domestiche, contadini e manovali – mentre gli italiani si occupavano del commercio! In questo ecumenismo storico Spadaro sottolinea anche una grande sensibilità dell’editoria per la cultura slovena. Ma dove? Lo sa Stelio Spadaro che una delle fonti più ricche della poesia triestina e giuliana è in lingua slovena? Quanti manuali «italiani» ne parlano? A memoria d’uomo solo Luigi Nacci è riuscito a darne valida testimonianza. Infine, non è un caso che Spadaro rivolga la sua attenzione al Giorno del Ricordo – si pensa come contenitore anti-ideologico del suo discorso. Di questa celebrazione è scritto che «tramite un generico e per questo ampiamente condivisibile appello al ricordo, esso incoraggi a spostare lo sguardo da quelli che sono i nodi storici importanti, finendo così con il porsi ampiamente al di fuori del percorso di riflessione iniziato in altre nazioni». L’autrice è Chiara Tedaldi e lo scritto fa parte di un libro collettaneo dal titolo «La frontiera orientale» (Ancona, 2007) che, guarda caso, è passato inosservato a Trieste.

Mauro Caselli

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