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Gravosa, l’altra Ragusa

C’è un quartiere appena fuori dal centro di Ragusa che offre una valida alternativa ai grandi hotel e alberghi lussuosi della città. È il quartiere industriale di Gravosa/Gruž. Lì vi è una ex fabbrica di prodotti in grafite di carbonio, trasformata e rivitalizzata da giovani creativi grazie a fondi europei

C’è un posto a Ragusa/Dubrovnik che sembra appartenere ad un’altra città. Per come la conosciamo oggi, la “Perla dell’Adriatico” è una destinazione turistica da 1,5 milioni di visitatori l’anno (dati 2019), un luogo mozzafiato in cui storia e bellezza si intrecciano creando una delle mete più ambite di tutto il Mediterraneo. In quest’immagine da cartolina, fatta di bastioni medievali a picco sul mare, tetti rossi, stradine lastricate, spiagge ed acqua cristallina, c’è spazio però anche per una vecchia fabbrica jugoslava, un luogo in cui oggi fermenta la creatività della gioventù ragusea. Parliamo della TUP, la Tvornica ugljenografitnih proizvoda (Fabbrica di prodotti in grafite di carbonio), un’azienda fondata nel 1953 e per decenni uno dei pilastri del quartiere industriale di Gravosa, a due passi dal porto e dall’autostazione.

Oggi, quest’impresa tutt’ora di proprietà dei suoi dipendenti – un’eredità del sistema di autogestione jugoslavo – è sul punto di cessare definitivamente la sua attività. La concorrenza internazionale e la mancanza di nuove leve che prendano il posto degli operai andati in pensione ha fatto crollare progressivamente la produzione della TUP, che oggi vive soprattutto dell’affitto dei suoi capannoni dismessi. In questi hangar spaziosi, dove negli anni d’oro lavoravano fino a 700 dipendenti (oggi sono meno di 40), si sono insediati di recente associazioni, start-up creative, piccoli laboratori, musei e bar, trasformando l’intero complesso in un dinamico quartiere culturale, una novità assoluta a Ragusa.

Il museo della storia rossa

Camminando tra i magazzini vuoti e i macchinari polverosi della TUP, si scorge ogni tanto un giovane sbucare da una pesante porta in lamiera. C’è chi ha trasformato un seminterrato in uno studio di registrazione per la sua band, chi realizza oggetti in ceramica al primo piano, chi viene a ballare il tango o a seguire corsi di yoga, e chi ancora aspetta di poter aprire una piccola discoteca, già battezzata Dubina.

Nella stradina interna che collega tutti questi luoghi è nato un punto di ritrovo attorno alla buvette del Red History Museum , il primo museo croato dedicato alla Jugoslavia, figlio anch’esso dello stabilimento di lavorazione della grafite. «Abbiamo trovato questo spazio a fine 2018 ed è stato un colpo di fulmine», ricorda Krešimir Glavinić, il giovane direttore del museo. «Da un lato, la struttura è già di per sé un retaggio del passato jugoslavo, quindi si sposa benissimo con la nostra idea. Dall’altro, si trova fuori dai bastioni e lontano dalla città vecchia e noi, con questo progetto, volevamo proprio mostrare che si può fare cultura a Ragusa anche fuori dalle mura», prosegue Glavinić. Dal 2019, quando il Red History Museum ha aperto le sue porte, circa 30mila persone hanno visitato la mostra permanente, che ripercorre attraverso una ricchissima collezione di oggetti (compresa una auto Yugo e un chiosco dei giornali) la storia della Jugoslavia da prima della Seconda guerra mondiale fino al suo crollo negli anni Novanta.

«Mettere in piedi il museo non è stato facile. Abbiamo iniziato con i risparmi di mio fratello, poco meno di 3mila euro – racconta Krešimir Glavinić (classe 1987) – Con quel piccolo budget, abbiamo girato per sei mesi tutta l’ex Jugoslavia alla ricerca di oggetti che potessero raccontarne la storia in un modo oggettivo. Poi, abbiamo ottenuto un piccolo finanziamento dal Servizio croato per l’impiego e sottoscritto un prestito in banca». Solo di recente, grazie alle misure introdotte dal governo croato per far fronte all’impatto economico della pandemia, il Red History Museum ha potuto accedere a dei fondi europei sotto forma di un prestito a tasso agevolato (0,25% contro il 6% proposto dalle banche). «Avviare un museo è un processo lungo, che richiede un gran lavoro di marketing, soprattutto in un’area come questa dove il flusso di turisti è minore rispetto alla città vecchia», prosegue Glavinić, che racconta divertito «riceviamo spesso delle recensioni che dicono: Il museo è bellissimo e non è per niente lontano da Ragusa!».

Per il prossimo anno, Krešimir Glavinić e la squadra (una mezza dozzina di amici) prevedono di allargare il museo affittando un’altra area della TUP e, se tutto va bene, parteciperanno al progetto europeo Tourban  , che mira a sviluppare un turismo sostenibile in diverse città europee tra cui Barcellona, Amsterdam e appunto Ragusa. Ma tutto questo sarà possibile solo se gli spazi della TUP continueranno ad essere affittati alle associazioni e alle piccole imprese dei giovani ragusei, cosa tutt’altro che scontata.

Il futuro incerto della TUP

L’incredibile quartiere creativo nato negli ultimi anni a Gravosa rischia infatti di essere spazzato via nei prossimi mesi. I proprietari della Tvornica ugljenografitnih proizvoda, ovvero i suoi attuali ed ex dipendenti, hanno infatti deciso di vendere entro il 2021 tutta la proprietà: 10mila metri quadri a Ragusae altri 15mila a Komolac, qualche chilometro più a nord. Questi spazi enormi ed edificabili hanno fatto subito gola a molti investitori e la TUP ha annunciato di aver già ricevuto diverse offerte non vincolanti, che oscillano tra i 10 e i 15 milioni di euro e alle quali verosimilmente – dato il profilo delle ditte che si sono presentate – seguirebbero la costruzione di hotel, centri commerciali e complessi residenziali. Ma Krešimir Glavinić e gli altri inquilini della fabbrica non sono rimasti a guardare. Riuniti attorno all’iniziativa “TUP – quartiere urbano”, hanno fatto presente al comune l’importanza di quanto sta avvenendo a Gravosa e, nelle ultime settimane, un’offerta non vincolante di acquisto è arrivata anche da un’impresa di proprietà della Città di Dubrovnik.

I creativi della TUP hanno tirato un sospiro di sollievo, anche se la battaglia non è ancora vinta. «Quand’ero giovane si usciva la sera anche in città vecchia, poi, dopo la guerra, molte cose sono cambiate. Tante imprese hanno chiuso, la città si è rivolta esclusivamente al turismo e noi ragusei ci siamo spostati nel quartiere di Lapad, ma gli hotel e gli appartamenti sono arrivati anche lì. Oggi, Gravosa è la nostra ultima spiaggia», afferma Dario Ševelj, fondatore della Dubrovnik Beer Company , il birrificio aperto nel 2017 nei vecchi magazzini del sale a due passi dalla TUP.

«In tutto il mondo si riutilizzano le vecchie strutture industriali, è un peccato distruggerle», prosegue Dario Ševelj, che si dice ottimista riguardo alla sopravvivenza del quartiere. «Penso che il comune abbia capito il potenziale di questo posto», assicura. Assieme al Red History Museum e al Love Bar  , abbarbicato sul tetto di un magazzino poco distante, la DBC è una delle realtà più promettenti dell’area e anche la sua storia parla di una visione alternativa per il futuro di Ragusa. «Assieme alla Vinarija Škar dall’altro lato del porto, siamo gli unici a produrre ancora qualcosa in città. Loro fanno vino, portando i grappoli dai vigneti che hanno a Pelješac, e noi birra. Per il resto, non penso ci sia più alcun tipo di produzione industriale a Ragusa», spiega Ševelj.

Anche per il fondatore della DBC, Gravosa si è rivelato il luogo perfetto dove cominciare, essendo l’ultimo quartiere in cui i camion possono circolare senza difficoltà, prima di entrare nel reticolo di viuzze e saliscendi di Lapad e Boninovo. Avviata con fondi propri e prestiti per un investimento iniziale di circa 300mila euro, la Dubrovnik Beer Company ha anch’essa beneficiato di recente di alcuni crediti a tasso agevolato finanziati da fondi europei e conta di sfruttare maggiormente i finanziamenti comunitari in futuro. «Attualmente usiamo solo bottiglie in vetro, ma a breve dovremmo avviare una seconda linea di produzione in lattina e per questo progetto faremo appello ai fondi europei», prosegue Dario Ševelj.

In una città che sembrava votata unicamente al turismo, la spontanea rinascita di una fabbrica come polo culturale è una ventata di aria fresca. Se Ragusa, che d’estate è talmente affollata da preoccupare l’UNESCO e che d’inverno è così vuota da sembrare disabitata, riuscirà a trasformare uno spazio industriale in un’area creativa a disposizione dei suoi abitanti, allora non tutto è perduto e c’è speranza per tante altre città del Mediterraneo, come Venezia, dove il rapporto tra turisti e residenti sembra destinato a risolversi in uno scontro frontale. Come gli ex cantieri navali di Nantes, la vecchia caserma asburgica di Metelkova a Lubiana, o i tanti stabilimenti industriali risorti sotto nuove sembianze a Parigi, Londra o Berlino, così la fabbrica jugoslava di Ragusa può ancora avere un ruolo in città, magari contribuendo a disegnare uno sviluppo più sostenibile per la bella Perla dell’Adriatico.

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Work4Future” cofinanziato dall’Unione europea (UE). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina “Work4Future

Giovanni Vale
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 22/12/2021

Red History Museum
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