Proseguendo sulla scia di una proficua collaborazione culturale avviatasi negli anni scorsi, il comitato provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha organizzato presso la Casa del Ricordo (struttura che gestisce per conto di Roma Capitale insieme alla Società di Studi Fiumani) una conferenza dedicata al Giorno della Memoria, coinvolgendo come relatore Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Beni ed Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma.
“Gli ebrei nella Venezia Giulia e nell’Adriatico orientale: convivenza e condivisione” è l’argomento che è stato trattato giovedì 3 febbraio: la conferenza è visibile sul canale YouTube CDM (Centro di Documentazione Multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata) e, nel rispetto delle vigenti restrizioni sanitarie, ha visto partecipare sia appartenenti alla comunità ebraica, sia all’associazionismo degli esuli adriatici.
Nel suo intervento di apertura dei lavori diretti dalla Prof.ssa Maria Grazia Chiappori (dirigente dell’Anvgd romana), Procaccia ha ricordato l’adesione delle comunità ebraiche italiane al percorso risorgimentale, culminato con la partecipazione convinta alla mobilitazione della Prima Guerra Mondiale, in cui tuttavia l’ebraismo europeo ha vissuto la lacerazione rappresentata da ebrei con una divisa sparare ad altri ebrei con addosso un’altra divisa. Ancor più devastante fu per gli ebrei italiani il fulmine a ciel sereno rappresentato dalla promulgazione delle leggi razziali, le quali avrebbero colpito una comunità che si era quasi completamente assimilata nel tessuto sociale, politico (con adesioni trasversali al fascismo, al comunismo ed al socialismo) e culturale. Il tracollo della Società Psicanalitica Italiana e la diaspora dei “ragazzi di via Panisperna” rappresentarono ad esempio una fuga di cervelli che colpì gravemente la comunità scientifica italiana. E il peggio doveva ancora scatenarsi. Procaccia ha amaramente constatato che due guerre mondiali che hanno devastato l’Europa ed i totalitarismi che hanno fatto milioni di vittime sono figli della tanto declamata “Belle Epoque”. E tra le tragiche conseguenze di questo sistema rientrano anche le foibe e l’esodo: «Gli esuli con la loro partenza hanno depauperato le terre in cui erano radicati da secoli – ha osservato Procaccia – e non hanno potuto per lungo tempo arricchire le località che li avevano accolti. Lasciati ai margini della società italiana, la loro vicenda è stata strumentalizzata, diventando un mito per la destra ed un tabù per la sinistra. Ricerca, didattica e divulgazione, analogamente a quanto chiediamo per la Shoah, rappresentano gli strumenti con cui recuperare questa pagina di storia italiana»
Giuliana Eufemia Budicin (dirigente Anvgd) si è soffermata sulla storia della presenza ebraica nella penisola istriana, argomento su cui non sono molte le ricerche effettuate da riviste e storici locali, anche se il giornale della Comunità degli Italiani di Pirano “Il trillo” ha recentemente riportato l’attenzione sull’argomento. Non si è comunque mai trattato di una componente particolarmente cospicua, anche se sue tracce sono rimaste in varie località. Pirano appunto, Capodistria, Rovigno e Pola, soprattutto dopo che la città dell’arena diventò la più importante base navale della flotta asburgica: nel cimitero militare si trovano infatti sepolcri ebraici. Dopo l’8 settembre e l’istituzione della Zona di Operazioni Litorale Adriatico, saranno poco più di una ventina gli ebrei deportati dall’Istria, mentre nell’immediato dopoguerra diventerà una figura memorabile “Geppino” Micheletti, il medico di ascendenze ebraiche (cognome originario Michelstaedter ed infatti era parente del celebre Carlo) che si prodigò per salvare i feriti dell’attentato di Vergarolla (18 agosto 1946). È invece rovignese d’adozione il pittore Bruno Mascarelli, nato Maskarel a Sarajevo nel 1926 ed affidato dalla madre alle suore cattoliche della capitale bosniaca allorché gli ustaša scatenarono le persecuzioni antisemite. Convertitosi al cattolicesimo per poi tornare alla fede ebraica, a 18 anni si unì ai partigiani in Macedonia, dopo la guerra studiò Belle arti a Belgrado e a Zagabria per trovare infine la sua residenza ideale a Rovigno, ove avrebbe perfezionato la sua attività artistica. Con la sua stessa vicenda di vita e con la propria arte ha affermato fortemente attraverso la provenienza ebraica l’importanza dell’identità e di una cultura senza frontiere.
Riguardo le comunità ebraiche di Spalato e di Ragusa ha invece parlato Carlo Cetteo Cipriani della Società Dalmata di Storia Patria, evidenziando che entrambe sorsero a fine Cinquecento a partire da nuclei di commercianti ebrei cacciati dalla Spagna e dal Portogallo dopo la Reconquista e transitati in un primo momento per l’Impero ottomano. A Spalato fu il Senato di Venezia a concedere ai cosiddetti marrani una “scala” in cui risiedere e svolgere le proprie attività commerciali: appena a fine Settecento si sarebbe costituito un piccolo ghetto. Nell’altro caso, invece, furono le autorità dell’aristocratica Repubblica di Ragusa a concedere lo stanziamento e, in maniera implicita, anche la possibilità di avere una sinagoga, nonostante fosse vietato praticare altri culti al di fuori di quello cattolico nella città di San Biagio, che pure era incastonata in territori popolati da ortodossi e mussulmani con i quali commerciava ed intratteneva rapporti di buon vicinato. In entrambe le località dalmate la componente ebraica non superò mai le 200 unità e l’avvento di Napoleone comportò la chiusura dei ghetti (Spalato 1804, Ragusa 1808). Da Spalato iniziò l’avventura imprenditoriale della famiglia Stock (Lionello avrebbe fondato l’omonima distilleria a Trieste), vi fiorì la famiglia Morpurgo (cognome originario Marpurg, cioè provenienti da Marburg, l’odierna Maribor) e nacque il letterato Adolfo Mussafia. Durante la Seconda Guerra Mondiale le truppe italiane in Dalmazia accolsero in appositi campi di internamento molti ebrei croati in fuga dalle persecuzioni del regime di Pavelić; costoro sarebbero poi stati trasferiti sull’isola di Arbe, da cui fuggirono il 9 settembre 1943 prima di venire catturati dai tedeschi.
La presenza ebraica a Fiume e a Trieste è già da tempo oggetto di studi e ricerche, perciò la Prof.ssa Donatella Schürzel (Presidente dell’Anvgd di Roma) ha dedicato il suo intervento al contesto goriziano ed istriano. Nel capoluogo isontino il primo ghetto risale agli ultimi anni del Seicento, ma in effetti la comunità non visse mai fenomeni di chiusura o preclusione e la comunità ebraica cittadina divenne nel tempo sempre più affermata grazie a commercianti, imprenditori e rappresentanti importanti del tessuto sociale e culturale. Dall’ottocento in avanti si manifestò nella comunità ebraica goriziana la presenza di intellettuali come Graziadio Isaia Ascoli, linguista e glottologo che si riconobbe nelle lotte risorgimentali e coniò i neologismi delle Tre Venezie allo scopo di indicare le terre che ancora non si erano riunite al Regno d’Italia dopo tre guerre d’indipendenza: Venezia Tridentina, Euganea e Giulia. Molto complesso sarebbe poi stato il rapporto con la sua ebraicità per Carlo Michelstaedter (morto suicida giovanissimo), soprattutto nella dialettica con il padre Alberto, il quale non gli insegnò la lingua dei propri avi. Tuttavia affiorano nell’opera del giovane ecclettico scrittore, vicino agli emergenti ideali irredentistici, alcuni tratti della cultura israelita: egli chiama «rettorica» ciò che per il padre è la Menzogna, la sua «persuasione» è per Alberto la Verità e il pensiero del giovane artista risente di accenni cabalistici e soprattutto padroneggia l’ironia come i migliori autori ebrei. Considerando “i Morpurgo”, grande famiglia che partendo dalla Dalmazia d’origine, vide diversi rami familiari affermarsi in molti luoghi della Venezia Giulia e del resto d’Italia D. Schürzel ha ricordato Salomone Morpurgo, direttore della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, uno dei maggiori bibliotecari dell’epoca, uomo di grandissima cultura, uno dei primi esponenti dell’irredentismo triestino e amico di Cesare Battisti. Alla sua morte, avvenuta nel 1942, su questo stimatissimo intellettuale calò un assordante silenzio. Le leggi razziali impedivano che si facesse riferimento alla dipartita di un ebreo… Altro eminente rappresentante di questa incredibile famiglia fu Luciano Morpurgo: grande fotografo, nacque a Spalato, ma poi giunse a Roma dove perfezionò la sua attività, realizzando già negli anni tra le due guerre mondiali “Memoria di una festa”, opera dedicata alla devozione ed ai pellegrinaggi al Santuario della Trinità di Vallepietra, località montana laziale, negli anni Venti e Trenta, rivelando nel suo reportage attenzione antropologica e molta sensibilità per un contesto di spiritualità cristiana.
Particolarmente interessante inoltre, la ricerca condotta dalla professoressa Schürzel all’Archivio di Stato di Pisino in Istria che ha consentito di ricostruire la vicenda del dottor Bruno Peschle, apprezzatissimo e conosciutissimo medico ebreo di Pola (qui le famiglie ebree erano circa una ventina, totalmente unite al tessuto urbano senza distinzione alcuna) il cui altruismo ed il cui patriottismo gli sarebbero valsi l’approvazione e l’encomio delle autorità fasciste locali, pronte a presentare domanda per la concessione del Cavalierato. L’avvento della legislazione razziale interruppe ufficialmente la sua carriera, ma molte famiglie polesane continuarono a ricorrere alle sue cure anche se era stato radiato dagli ordini professionali e la sua storia si perse nell’oblio. «Vicende come questa – ha sottolineato la prof,ssa Schürzel – ben testimoniano quanto sia inconsistente parlare di “tolleranza” e come invece la componente ebraica fosse perfettamente all’interno del tessuto sociale e culturale dell’Adriatico orientale, giungendo in particolare con l’italianità autoctona ad una completa commistione».
In conclusione della conferenza hanno portato un messaggio di saluto Marino Micich (Società di Studi Fiumani), che ha ricordato il lavoro del suo istituto riguardo la presenza ebraica nel Carnaro, e l’ex assessore del IX Municipio Roma Capitale Carmen Lalli, la quale, dopo aver conosciuto come amministratrice pubblica il microcosmo del Quartiere giuliano-dalmata di Roma, ne segue ancora la stimolante produzione culturale.
Lorenzo Salimbeni