LETTERE
Sono trascorsi sessant’anni e non abbiamo ancora imparato ad essere fra di noi uniti, nel bene e nel male. Siamo rimasti testardamente ancora a discutere sui morti da una parte e i morti dall’altra, sulle ragioni degli uni e sulle ragioni degli altri, senza voler ammettere che sia questi sia quelli sono morti nella convinzione di farlo per la Patria.
Patria, Nazione, parole che erano state messe al bando, da non scrivere nei libri di storia, da non pronunciare nelle scuole, nelle università. Bestemmie del terrore fascista. Chi in Italia diceva patria era razzista, chi diceva nazione era imperialista. In Italia non nella minuta Slovenia o in Croazia, o in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna e via dicendo. In Italia, alla quale avevano applicato una notevole coda di paglia di cui ancora non si è completamente liberata.
Ed è stata in gran parte opera della sinistra staliniana, che dopo vent’anni di fascismo, aveva ripreso il suo accurato lavorio di sovietizzazione del Paese, fortunatamente, però, contrastato da tutti coloro che avevano combattuto per la libertà e comunisti non erano. Una grave mancanza di spirito nazionale, spirito di corpo, quello che qualcuno definiva negativamente ebbrezza del comunitario. E lo preciso per coloro che sono stati allevati dagli intellettuali marxisti con l’idea dell’internazionale, nell’ebrezza del sociale, nella vergogna di pronunciare la parola patria, la parola nazione, e finendo così col non amare le proprie origini. Mi riferisco ai comunisti italiani, perché quelli delle altre nazioni sono rimasti nazionalisti persistendo a difendere i propri confini, la propria lingua, la propria cultura, le proprie radici.
Vi è una differenza essenziale tra la nostra storia giuliano-dalmata e quella della rimanente nostra patria italiana e consiste nel fatto che il 25 aprile non segnò per noi la fine del totalitarismo sanguinario, perché non bisogna dimenticare almeno adesso di fronte all’evidenza della cronaca ormai divenuta storia – che totalitarismo sanguinario non fu soltanto il nazifascismo, lo fu pure il comunismo. E qui da noi il comunismo iugoslavo, con quello italiano, si macchiò di crimini atroci. Il nostro martirio non finì il 25 aprile, questo va detto a chiare e gridate lettere: esso finì il 12 giugno. E solo per noi triestini, non per l’Istria e la Dalmazia, non per Pola e per Fiume e per tutte le italianissime cittadine della Venezia Giulia.
Giovanni Talleri, presidente Federazione italiana volontari della libertà