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Sì alla cultura dalmata italiana (Voce del Popolo 09 mag)

di Dario Saftich

Che la storia dell'Adriatico orientale sia poco conosciuta nella penisola appenninica è ormai un fatto assodato. Che nell'Italia della miriade dei campanilismi l'interesse per quanto accade nell'immediato vicinato sia spesso superficiale non sorprende quasi più nessuno. Certo non mancano gli alti lai quando qualche mass media italiano si scorda che i toponimi dell'Adriatico orientale si fregiano anche di versioni nella lingua di Dante che andrebbero utilizzate, per non contribuire a farle cadere nel dimenticatoio, ovvero affondare nel mare dell'oblio. Ma in genere, in questi casi, la rassegnazione ha il sopravvento sulla volontà di fare qualcosa. Del resto l'attenzione per quanto accade all'ombra del proprio campanile non è tipico soltanto dello Stivale. Anche dalle nostre parti, nel nostro piccolo i campanilismi sono vivacissimi, specie nell'ambito della componente italiana dell'Istria, del Quarnero e della Dalmazia. E non sempre questo è un male, perché se da un lato magari è più difficile delineare una strategia culturale d'insieme, dall'altro questo richiamo alle "radici concrete" dà ulteriore linfa all'identità della CNI.

Comunque non è il caso di disperare se non sempre oltre Adriatico vi è l'auspicata conoscenza del contributo che gli italiani della sponda orientale hanno dato all'italica culturale nel suo insieme, pur sempre nel rispetto delle proprie peculiarità. Il Giorno del Ricordo ha creato i presupposti perché si possano lentamente colmare le lacune. E nell'ambito delle possibili iniziative si inserisce anche la proposta formulata dal rappresentante dei Dalmati italiani, l'On. Renzo de’ Vidovich, al Tavolo di coordinamento generale Governo–Esuli, tenutosi presso la Presidenza del Consiglio a Roma. La sua iniziativa è stata accolta con favore dalle autorità. A Palazzo Chigi, infatti, l’On. Gianni Letta ha illustrato alla Federesuli la nuova politica adriatica del governo di Roma ed ha accolto la richiesta dei Dalmati sui libri di testo. Vi sarà, pertanto, un confronto con il ministero dell'Istruzione
Ricerca e Università per introdurre la storia, la cultura e l'arte anche della componente italiana della Dalmazia nei libri di testo e nei programmi scolastici.

Se a questo aggiungiamo la rinnovata attenzione per i sepolcri italiani in Croazia e Montenegro (quindi nell'area dalmata nel suo complesso) e l'impegno per risolvere l'annosa questione dei beni abbandonati, possiamo dire che si sta procedendo davvero nella direzione giusta nell'ottica della concretezza, inseguendo traguardi precisi, diversi dei sono raggiungibili in tempi non lunghissimi. E questo è sicuramente incoraggiante se consideriamo che proprio il tempo che scorre inesorabile finisce per essere tiranno per la diaspora ed anche per i rimasti se la soluzione dei loro problemi, per cause di forza maggiore, va per le lunghe. La cultura dalmata di matrice italiana, in virtù del suo passato e dell'impegno presente per essere rilanciata, merita sicuramente di essere valorizzata e conosciuta.

 

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