La figlia Marta Zeichen descrive il progetto della “Casa della poesia” nella sua dimora-baracca a Roma: “È in condizioni precarie perché mio padre ha sempre vissuto nella precarietà, era un ecologista nel senso più puro”
Un poeta che viveva contro gli sprechi e che ha parlato con la sua opera. Valentino Zeichen ha primeggiato per versi come questi da “Risvolti del territorio”: “[…] un dubbio ci pedina / così diffidiamo di ogni luogo di residenza / poiché in qualche stanza dei loro stabili / siamo attesi per morirvi / perciò vorremmo fuggirli / e non incontrare mai quel posto designato […]”. Li potete leggere nella sua antologia Le poesie più belle edita da Fazi nel 2017 (pp. 232, € 15). Da queste parole potremmo impropriamente immaginare una delle ragioni della sua radicale scelta di vita che a volte sui media ha fatto velo alla capacità autoriale: abitava in una casa-baracca a Roma, in via Flaminia 86, nel Borghetto Flaminio, non lontano dalla blasonata piazza del Popolo. Un luogo da proteggere che può diventare un vivace polo letterario con il “Progetto Casa del poeta Valentino Zeichen”. Poco più sotto lo descrive a Tiscali Cultura la figlia Marta, che ne è la prima promotrice, ma partiamo da qualche dato biografico, che è non guasta.
“Vivo qui perché sono spartano”
Il poeta e scrittore nacque nel 1938 a Fiume. Nel dopoguerra con madre e padre fu uno degli circa 250-350mila italiani sfollati dai territori passati all’Jugoslavia finché non approdò nella capitale. “Vivo qui perché sono spartano. Ho un senso atavico della precarietà”, dirà in un’intervista a Benedetta Barzini su “Amica” del 21 febbraio 1994. Viveva di niente, di poesie scritte su commissione e giustamente ricompensate, di amici che lo invitavano perché era un conversatore sopraffino e uomo di rara intelligenza. Morirà il 5 luglio 2016, a Roma, lasciando poco o nulla in una dimora di circa quaranta metri quadri che è quanto di più lontano possa esserci da una casa borghese di un intellettuale. Per inciso, c’è un posto dove si può ascoltare la sua voce: Zeichen recita propri versi da un registratore inserito in una minicasupola per volatili su un albero. Dove si trova? In una installazione creata da Donatella Spaziani in un noceto punteggiato da opere d’arte della Fondazione No Man’s Land nella contrada Rotacesta presso Loreto Aprutino, in Abruzzo nel pescarese (trovate il link qui).
Il progetto per la casa della poesia
“Il terreno appartiene al Comune – avverte Marta Zeichen – Il progetto è nato dopo la morte di mio padre. Il Borghetto Flaminio è emblematico, è alle pendici di villa Strohl-Fern dove hanno abitato poeti come Rilke e hanno avuto lo studio artisti come Francesco Trombadori, è a due passi dal ‘Tridente’ e da Villa Borghese. Mio padre si installò lì a inizio degli anni ’60: erano piccole dimore molto precarie abitate da artisti. Prima aveva vissuto in quello che ora è museo Carlo Bilotti, le scuderie di villa Borghese, perché suo padre faceva il giardiniere lì”.
La dimora di Valentino Zeichen può diventare a tutti gli effetti una Casa della poesia, tuttora assente da Roma che ha una Casa delle letterature, tuttavia è in condizioni precarie. “Lo è perché mio padre ha vissuto nella precarietà per tutta la vita. La chiamava la “baracca del poeta”. Per ora abbiamo fatto lavori di manutenzione per salvaguardarla e l’abbiamo aperta al pubblico con eventi come mostre, letture”. L’obiettivo è farne “un luogo della poesia contemporanea”.
L’università ha dei progetti pronti
A quale stadio siamo? “Aspettiamo che il Dipartimento del patrimonio e delle politiche abitative del Comune istituisca un vincolo sull’intero lotto e lo designi come Residenza d’artista. La giunta Raggi aveva fatto una delibera sull’importanza di istituire residenze d’artista in terreni comunali e questo è un esempio”. Un sostegno fondamentale, accenna Marta Zeichen, lo ha dato il dipartimento di architettura dell’università della Sapienza: “Orazio Carpenzano (ordinario di progettazione architettonica e urbana, ndr) ha tenuto un seminario sulla casa del poeta proprio per ideare progetti di riqualificazione. Il progetto comprenderebbe un auditorium, postazioni di studio, un polo per la poesia contemporanea che manca nella città eterna ed è l’obiettivo principe”. I progetti scaturiti dal dottorato di architettura, puntualizza Marta Zeichen, esistono già: nel 2017 ne hanno parlato alla Biennale dell’architettura di Venezia, nel 2018 li hanno esposti alla Casa dell’architettura di Roma. I passi successivi? “Finché il Comune non pone il vincolo non si può fare nulla, siamo in contatto con gli uffici. C’è un progetto per riqualificare il Borghetto Flaminio della Sapienza, è un’area preziosissima. Per i fondi non deve farsene carico per forza il Comune: si possono fare bandi, cercare altre istituzioni, c’è tanto interesse”.
La figlia Marta: “Mio padre era pronto a qualsiasi catastrofe”
Che uomo era, Valentino Zeichen? “Le persone si incuriosiscono sempre, soprattutto su come abbia potuto vivere in modo così parco, aveva solo una stufa. È stato un profugo tutta la vita, era pronto a qualsiasi catastrofe, consumava pochissimo, pochissima energia, pochissima acqua, aveva vestiti regalati da amici, portava un paio di sandali per l’estate e uno per l’inverno. Mio padre ha condotto una vita votata all’essenzialità e la sua poesia ne è uno specchio”.
“L’animo di un ecologista nel senso più puro”
Suona come una replica a una civiltà fondata sul consumismo. “Sì, è così. Ha sempre criticato l’ideale della società che deve sempre crescere e consumare. Ha scritto la poesia Apocalisse per acqua contro l’uso sconsiderato delle acque dolci, non ci rendiamo conto di quanta ne consumiamo, e contro l’uso sconsiderato dei detergenti senza chiederci che fine fanno. Aveva l’animo di un ecologista nel senso più puro, conduceva una vita rigorosissima”.
“Un carattere spigoloso, eppure lo amavano tutti”
Nonostante tanto rigore, Zeichen conosceva tutta Roma e persone diversissime. “Aveva un carattere difficile e spigoloso però era amatissimo. Lo volevano sempre a cena. Aveva una lucidità incredibile, la capacità di correlare il correlabile e di tessere la trama tra discipline”. Incluse le discipline scientifiche. Marta Zeichen cita a titolo esemplificativo una raccolta come Gibilterra, edita da Mondadori nel 1991: “È sulla Seconda guerra mondiale. In quelle pagine usava un linguaggio tecnico precisissimo, era come uno scienziato, chiamava la sua poesia ingegneria compositiva. Ogni parola – dice ancora la figlia – è parte di un ingranaggio dove può stare solo quella parola. Ed era un autodidatta: ha studiato da perito chimico ha traslato il metodo scientifico nella poesia facendo da tutto da solo. Era incredibile come ci riuscisse”.
Stefano Miliani
Fonte: Tiscali Cultura – 01/07/2022
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