La colonna dello stendardo (secondo alcune leggende popolari, una volta anche “palo della vergogna” o “colonna infame”), sistemata nella piazza dell’antico Municipio, oggi Piazza della Risoluzione fiumana, viene interpretata, nei racconti inerenti alla città, quale simbolo della coscienza municipale fiumana. La sua storia, però, come le sue origini, la funzione e le circostanze del suo innalzamento, non sono ben note. Le fonti e la letteratura a riguardo riportano informazioni e versioni spesso differenti, se non contrastanti. A “tenere banco” sono fondamentalmente due narrazioni storiche, in seguito alle quali sono state formulate svariate ipotesi, che collocano la provenienza dello stendardo all’inizio del XVI secolo, ma in situazioni completamente diverse.
Due ipotesi
La prima, riportata da Vicenzo Tomsich (in “Notizie storiche sulla Città di Fiume”), successivamente ripresa da Attilio Depoli (in “Fiume durante le guerre venete di Massimiliano”) e Luigi Maria Torcoletti (in “La chiesa e il convegno degli agostiniani di Fiume” pubblicato su “La Vedetta d’Italia”), secondo la quale la colonna si trovava a circa venti metri di fronte alla Torre civica e quindi, all’epoca, sulla riva del mare, la riconduce al periodo precedente all’occupazione veneziana e individua in Massimiliano I il destinatario dei versi di ringraziamento per avere difeso la città nel 1500 proprio da un attacco della Serenissima (che sono anche i più antichi e con i quali, nel 1508, l’Imperatore garantì alla città libertà e privilegi già goduti ai tempi dei precedenti signori feudali, i Duinati e i Walsee).
Secondo un’altra interpretazione, riportata da Giovanni Kobler (in “Memorie storiche della liburnica città di Fiume”) il quale, a sua volta, aveva fatto affidamento ai testi del cardinale Bembo e dello storico Engel, convalidata in seguito anche da Depoli, sembra sia stata eretta dai Veneziani nel 1509 e che il distico latino incisovi (“Numine sub nostro tute requiescite gentes /Arbitrii vestri quidquid habetis erit/ MCCCC[cvi]III”, in traduzione – Sotto la protezione del nostro Signore riposate sicure, o genti/i vostri desideri saranno esauditi/1509) venisse letto come ringraziamento dei fiumani ai Veneziani per avere risparmiato nel 1508 la città. Si presume che la colonna, in precedenza, potrebbe avere avuto scolpita l’effigie del leone marciano (poi scalpellato e abraso, e da qui la presenza di un tondo vuoto), simbolo della Repubblica, per avere deturpato il quale i Veneziani avrebbero messo a ferro e fuoco la città nell’ottobre del 1509. Lo afferma, infatti, nel suo racconto anche l’ammiraglio Angelo Trevisan, riportato poi dallo scrittore veneziano Marino Sanudo nei suoi “Diarii” (che scriveva: “ma galioti, che son gente bestial, havendo visto che el San Marcho con le armi di retori era stà guasti da questi rebelli, disse: “Bruxemo la terra” et cussì feze”), come pure da Pietro Bembo nell’opera “Dell’Historia veneta” (dove si legge: “Nel qual saccheggiamento avendo essi veduto le insegne della Repubblica, che nella piazza erano, essere state dai Fiumesi sozzamente guaste e consumate, da sdegno commossi, abbrucciarono la terra”). Il tondo vuoto, in entrambi i casi, avrebbe dovuto accogliere dipinta un’aquila imperiale. Potrebbe trattarsi, tuttavia, di una tradizione successiva alla sconfitta di Venezia, diffusasi e consolidatasi con il ritorno degli Asburgo.
Il monumento
Il solenne monumento, mantenutosi fino al giorno d’oggi, e che rappresenta un vero e proprio reperto archeologico, è alto circa due metri e porta di lato un bassorilievo raffigurante il patrono principale di Fiume, San Vito, che in una mano regge la città e nell’altra la palma del martirio, il succitato medaglione (ora vuoto), uno stemma dal contenuto araldico poco chiaro di fronte allo stesso e in alto, all’intorno, la suddetta dicitura latina del 1508. Una formula quasi identica trovasi sulla colonna sita a Trieste, davanti al campanile della Cattedrale di San Giusto, chiamata dai triestini Colonna dell’Aquila o “del Melon”. Sotto al medaglione vi si legge un’altra iscrizione, datata 1565: “Communitas fieri fecit tempore domini Francisci Barbo capitan ei iudicibus Antoii Zanchi et Andreae Vesla/MDLX[v], in traduzione “Fatto erigere dal Comune all’epoca del capitano Francesco Barbo e dei giudici Antonio Zanchi e Andrea Vesla/1565. Dalla terza, incisa sotto al succitato stemma, si viene a sapere che la colonna dello stendardo, subito dopo la sua installazione, venne abbattuta nel corso delle ostilità con i Veneziani e, in seguito (1565), rimessa al suo posto. Successivamente, per molti anni è stata abbandonata all’usura del tempo e lasciata deperire fino al 1766, anno della sua ristrutturazione. La colonna, che aveva rivestito un significato così importante nelle vicende veneziane di Fiume, torna nuovamente protagonista nel secolo scorso. Infatti, dopo essere stata rimossa e avere trovato diverse collocazioni all’interno della città, il 12 settembre del 1920 fu ricollocata di fronte all’allora Palazzo Municipale: quattro giorni prima, l’8 settembre, era stata proclamata la Reggenza italiana del Carnaro. Tale evento assume, quindi, un chiaro valore simbolico, saldando le vicende veneziane di Fiume con quelle italiane d’inizio Novecento. Nel 1953 lo stendardo venne nuovamente spostato e trasferito in piazza Kobler e, nel 1970, dopo l’ennesimo restauro, riportato in Piazza della Risoluzione fiumana. Per l’occasione, al fine di erigerlo al di sopra dell’altezza dei passanti, l’architetto Igor Emili ha ideato un nuovo appoggio a forma di cubo monolitico sul quale oggi, provato ma pur sempre maestoso, il pilastro giace, finalmente in pace.
Ornella Sciucca
Fonte: La Voce del Popolo – 31/07/2022
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