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I nipoti degli Esuli alla ricerca di una storia spezzata (Mess.Veneto 25 mag)

Non è realmente una storia spezzata quella della sponda orientale dell’Adriatico, quanto piuttosto una ferita ancora aperta, che si sta faticosamente cercando di sanare e che ha bisogno di sperare nei giovani e nella cooperazione internazionale. Messi a confronto con la mediazione di Sergio Tazzer in una tavola rotonda per èStoria, sei testimoni di ciò che accadde in Istria dopo la seconda guerra mondiale hanno intrecciato i ricordi di ieri con l’esperienza attuale, maturata nelle comunità italiane e in quelle degli esuli. Un tema che, come già riscontrato nelle passate edizioni del festival, non manca di richiamare l’attenzione del pubblico il quale, nonostante la giornata festiva e il fatto che l’incontro abbia segnato l’apertura domenicale, ha affollato la capiente tenda Erodoto. Troppo breve peraltro il tempo offerto alla discussione che ha cercato – a partire dall’intervento di Corrado Belci – di tracciare il profilo dei "rimasti", categoria estremamente generica che raccoglieva sia quanti erano troppo legati alla terra per poterla lasciare sia coloro che avevano compiuto una scelta politica diversa: tutti, però, all’indomani dell’esodo, uniti dalla consapevolezza di essere destinati a rivestire il ruolo di custodi dell’italianità. In molti furono comunque quelli che ritennero insostenibile l’amalgama di comunismo, totalitarismo e cambio di identità imposta dal regime titino: ed è proprio su chi ha abbandonato l’Istria che si è concentrata la riflessione di Piero Delbello, che non ha esitato a definire il concetto di foiba un alibi per alimentare, in Italia, contrasti e polemiche in tutti gli schieramenti. Un fatto, questo, che comunque è stato strumentalizzato per evitare uno studio approfondito dell’esodo stesso oltre che per nascondere realtà scomode, come i campi profughi. "Rimasta" per costrizione a causa della sua giovane età – e perché la richiesta del padre di abbandonare Fiume venne ricusata per due volte – Anita Forlani si è spesa per il mantenimento di un’italianità che, pur essendosi preservata in tradizioni, religione e lingua, ha conosciuto momenti di devastazione che potrebbero essere ricostruiti attraverso gli archivi parrocchiali e anagrafici, utili fonti di informazione su quanti dei "rimasti" siano stati costretti a ribattezzarsi. Ma intanto è trascorso del tempo, e la riorganizzazione cui è andata incontro la comunità italiana – cui ha accennato Egidio Ivetic – va di pari passo con una sorta di interesse turistico da parte dei nipoti degli esuli: ed è a loro che si deve guardare per evitare che, ha affermato Roberto Spazzali, istituzioni come il neonato Museo della civiltà istriana, fiumana e dalmata di Trieste si riducano a memorie depositarie di un tempo ormai trascorso. Ma l’obiettivo presente, ha detto con forza Lucio Toth, è quello «di far riscoprire all’Italia il nostro orgoglio di essere italiani». Una meta perseguibile soprattutto attraverso la collaborazione fra istituzioni culturali italiane e istriane. (e.m.)

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