di Stefano Lusa
Dalla scorsa estate per circolare sulle superstrade e sulle autostrade slovene bisogna essere provvisti di un contrassegno prepagato. Il bollino era stato introdotto dal precedente governo e pareva essere un vero e proprio regalo per i cittadini in vista delle elezioni del settembre del 2008. Il costo di quello semestrale era di 35 euro, mentre per quello annuale bisognava sborsare 55 euro.
Prima il pedaggio che si pagava attraversando il paese, ad esempio sulla tratta Maribor – Capodistria, superava i 10 euro. Bastava, quindi, fare solo pochi viaggi per avere un consistente vantaggio economico. A rimpinguare le casse della Società autostrade ci avrebbero pensato coloro che transitavano saltuariamente per le strade slovene, che anche per percorrere pochi chilometri avrebbero dovuto pagare almeno 35 euro.
La soluzione adottata fece andare in bestia i paesi che confinano con la Slovenia. Già nel marzo del 2008 il quotidiano zagabrese, “Vjesnik”, scrisse laconicamente che il provvedimento non era che “l’ennesimo tentativo di Lubiana di complicare i suoi rapporti con i vicini”. I croati, ovviamente, videro la mossa slovena come una potenziale tegola sulla loro stagione turistica. Gran parte dei vacanzieri, provenienti dall’Europa occidentale e centrale, diretti sulla costa istriana o dalmata, infatti, passa attraverso la Slovenia. Il ministero per il Turismo croato, così, pensò di distribuire ai turisti le indicazioni di percorsi alternativi sulle statali slovene non a pagamento.
Il sistema di pedaggio introdotto in Slovenia non mancò di suscitare sconcerto anche in Austria. A suo tempo Vienna, infatti, aveva dovuto introdurre bollini autostradali della durata di 10 giorni dopo un lungo braccio di ferro con l’Unione europea. A spalleggiare i politici c’erano anche le potenti associazioni automobilistiche di Austria e Germania, che cominciarono a premere sulla Commissione europea, chiedendo che la Slovenia introducesse bollini con un prezzo inferiore della durata di 7 o 10 giorni, sul modello austriaco o ungherese. Un’analoga richiesta giunse anche dal governatore del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo.
Da Lubiana ci si premurò di spiegare che il provvedimento era solo temporaneo, in attesa dell’introduzione, nel 2010, di un nuovo sistema di pedaggio satellitare. Del resto la provvisorietà della misura era stata confermata anche dal commissario europeo ai trasporti Jacques Barrot, che però aveva anche aggiunto che si sarebbe, comunque, dovuto evitare qualunque tipo di discriminazione.
I giorni di Barrot, però, erano contati, considerato che avrebbe presto lasciato il posto all’italiano Antonio Tajani. Nell’ottobre del 2008 la Commissione europea – non soddisfatta dei chiarimenti giunti da Lubiana – aprì una procedura d’infrazione contro la Slovenia, perché il suo sistema di pedaggi avrebbe discriminato i cittadini stranieri. Lubiana precisò subito che non esisteva alcuna discriminazione in base alla cittadinanza, ma Bruxelles chiarì che non si trattava di una discriminazione diretta, ma che l’effetto pratico era lo stesso. La Commissione, così, chiese l’introduzione di bollini con scadenza più breve.
Intanto i mass-media sloveni non mancavano di far notare che la posizione dell’Unione europea si era inasprita con l’arrivo del commissario dei trasporti italiano. Qualcuno rimarcò anche la sua militanza politica nel centrodestra, che molti considerano tradizionalmente ostile alla Slovenia.
A Lubiana, comunque, cominciava a serpeggiare un certo malumore. Le spiegazioni slovene non sembravano accettabili per Bruxelles, che a quel punto aveva deciso di bloccare anche i finanziamenti per il completamento della rete stradale slovena. Prima bisognava risolvere la questione dei bollini.
Oramai era chiaro che si sarebbero dovuti introdurre bollini dalla durata più breve, il vecchio governo di centrodestra era intenzionato a lasciare la parata bollente alla nuova compagine di centrosinistra, che si sarebbe dovuta prendere la briga di far lievitare il prezzo del pedaggio annuale – per riempire le casse della Società autostrade – e di introdurre i bollini di durata più breve. Il ministro dei Trasposti uscente, Radovan Žerjal (poi diventato anche leader del Partito popolare) non aveva ragioni per non buttare benzina sul fuoco: “Penso che non sia giusto inchinarsi subito di fronte alla Commissione europea, come facevamo continuamente in passato con Belgrado”.
Il socialdemocratico Patrick Vlačič – che era destinato a diventare ministro dei Trasporti – senza peli sulla lingua commentava, invece, quanto fatto dal suo predecessore in maniera alquanto lucida: “Il piano era molto chiaro: raccogliere i soldi da coloro che transitavano per la Slovenia, cioè dagli stranieri. Coloro che credevano che l’Unione europea non avrebbe preso provvedimenti hanno ingenuamente o consapevolmente approvato il progetto alla vigilia delle elezioni”. Si poteva ipotizzare che il nuovo governo sarebbe subito corso ai ripari, ma non fu così.
Sin dall’inizio del contenzioso con l’Unione europea Lubiana sapeva che avrebbe dovuto introdurre bollini con scadenza settimanale. A tale proposito si cominciò a parlare di un costo non inferiore a 15 euro. Il doppio rispetto a quelli della durata di 10 giorni in Austria. A quel punto Tajani precisò che la soluzione da adottare non doveva essere discriminatoria per i cittadini europei e anche che il prezzo del bollino settimanale doveva essere proporzionale. A tale proposito indicò la cifra di 5 euro per i bollini turistici. La risposta del nuovo governo di centrosinistra fu inequivocabile e diceva, in sintesi, che il prezzo lo si sarebbe stabilito in Slovenia visto che questa era una sua competenza specifica.
Nonostante Lubiana tentasse di fare la voce grossa e di tergiversare era chiaro a tutti che – come richiesto dalla Commissione europea – avrebbe modificato il suo regime di pedaggi autostradali prima della stagione turistica. Il problema non sembrava semplice da risolvere visto che non si voleva tornare ad introdurre i caselli autostradali e che i bollini a scadenza più breve avrebbero creato problemi per le casse dello stato.
Dopo mesi di analisi e dibattito, il parlamento, pochi giorni fa, ha dato luce verde all’introduzione di nuovi bollini settimanali dal costo di 15 euro. È previsto anche un bollino mensile il cui costo si dovrebbe aggirare tra i 30 ed i 35 euro, mentre quello annuale passerà a 95 euro. Per i turisti in transito non cambia poi molto visto che comunque dovranno fare i conti con il contrassegno prepagato più caro d’Europa.
A Bruxelles hanno già dato ad intendere che le soluzioni adottate da Lubiana non convincono. I soliti bene informati dicono che Tajani avrebbe voluto che i bollini settimanali fossero non più cari di 10 euro.
L’opposizione non ha mancato di gridare allo scandalo per le modifiche proposte dal governo. In sintesi s’è detto che sono state fatte intollerabili concessioni all’Unione europea che saranno pagate dai cittadini sloveni con l’aumento del bollino annuale. I democratici hanno addirittura minacciato di promuovere un referendum. Alla fine hanno deciso di rinunciarvi. Sarebbe stata l’ennesima trappola in cui l’ex premier Janez Janša avrebbe fatto cadere il suo successore Borut Pahor.
Sta di fatto, però, che oramai l’atteggiamento di Lubiana nei confronti di Bruxelles sembra somigliare sin troppo a quello che aveva nei confronti di Belgrado e la tutela di quelli che vengono considerati gli “interessi nazionali” sta pian piano tornando ad essere un’ossessione della politica slovena.