di CARLA MARIA CASANOVA
MILANO Non ha fucile, non ha spada. Solo un archetto. Ma con quello è sul campo di battaglia da una vita e continua a combattere. Uto Ughi, artista molto speciale che coltiva con la maestria del violino diverse discipline (religioni orientali con predilezione per il buddismo, yoga, cultura antica con predilezione per la greca, archeologia, sci, nuoto…) sarà al Teatro Verdi domani sera, alle 20.30, per la chiusura della stagione concertistica realizzata in collaborazione con illycaffè.
Ughi sarà direttore e solista del celebre Concerto in re maggiore per violino e orchestra di Ludwig van Beethoven, l’unico dedicato al violino come strumento solista e caratterizzato da una cantabilità sviluppata e potenziata dal violino anche nei momenti di maggiore virtuosismo. Caratteristica che bene si addice al rapinoso stile di Uto Ughi, il cui primo fine è sempre di restituire un brano allo stato nascente.
Di questa performance a 360 gradi il violinista fa omaggio a Trieste dove si esibì con enorme successo anche lo scorso anno.
Da dove arriva, dove andrà? È la domanda che viene più spontanea a un artista proverbialmente proiettato verso mondi lontani e culture lontani. Infatti, arriva da Israele e prima da Tokyo, andrà in Cambogia e poi in Birmania. Sempre a suonare? Non solo. In questi luoghi esotici Ughi sta terminando di girare le puntate su “Musica e siti archeologici” che verranno trasmesse da Raiuno ad agosto.
«Abbinare arte e musica – spiega Uto Ugthi – è naturale. La grande arte non ha confini e quindi il discorso si allarga solamente, non cambia. A Cesarea, sui luoghi di Gesù, a Paestum nel teatro Greco, ad Angkor Vat in Cambogia o a Pagan in Birmania, la materia resta sempre la stessa».
Cerca si abbinare le musiche ai luoghi che sta visitando?
«No. Beethoven o Mozart si suonano ovunque. Davanti a qualsiasi panorama o monumento. Io comunque da tempo anche in sala commento i miei concerti per cercare di porgere agli ascoltatori una guida. Far capire che cosa andranno a sentire».
Messaggio didattico per i giovani?
«Non solo i giovani. Oggi c’è una grande incultura ovunque e a tutte le età. Con i giovani si spera di poter ancora arginare il disastro. Nelle scuole non è stato fatto nulla. Cerchiamo di sensibilizzare il ministro Gelmini, affinché prenda provvedimenti, nonostante i tagli finanziari che le sono stati imposti».
Maestro, dopo la sua lunga militanza in area veneziana (fondò anni fa “Omaggio a Venezia” destinando i proventi dei concerti al restauro di opere d’arte veneziane in sfacelo), lei da anni porta avanti un festival per i giovani “Omaggio a Roma”…
«Sono 15 giorni a cavallo tra settembre e ottobre. Vi ho invitato grandi artisti, da Rostropovich a Giulini, Georges Prêtre… I giovani accedono a prove e concerti gratuitamente».
Iniziative come la sua non le danno la sensazione che qualcosa stia cambiando, che il mondo giovane si accorga di quanto di bello gli sta intorno?
«Veramente, la media del pubblico che io vedo nelle sale da concerto è di età decisamente “adulta”. Io sento una grossa decadenza di tutti i valori. Il teatro è in mano di gente mediocre che se ne è servita per fare gli affari suoi. L’interesse primario, a tutti i livelli, è il gossip più becero, il pettegolezzo di bassa lega. Ma proprio per questo non bisogna demordere. Bisogna reagire con violenza. Io ho ancora fiducia nel singolo individuo».
Nei tanti Paesi da lei visitati, ha avuto qualche segnale positivo?
«In Medio Oriente, specialmente in Siria, c’è stata una sorpresa. Noi abbiamo la tendenza a pensare che quei Paesi siano deserti percorsi dai cammelli… In verità, a Damasco c’è un auditorio straordinario. Anche la preparazione dei ragazzi è seria, approfondita. A me pare, benché sembri una contraddizione, che possano amare e interpretare una cultura tanto diversa dalla loro perché hanno mantenuto forti i contatti con la cultura delle loro origini e quindi l’apprendimento è meno massificato che da noi. Inoltre gli orientali in genere non sono (non ancora?) contagiati dalla nostra nevrosi. In quei Paesi c’è una reale sensazione di recupero dei valori umani…».
Tra i grandi interpreti del violino del nostro tempo, ex bambino prodigio di talento strepitoso (a dieci anni era a Parigi, allievo prediletto di Gorge Enesco, il maestro di Menhuin) Uto Ughi è passato attraverso il genio(suo) e la frenesia dei nostri giorni mantenendo un esemplare equilibrio.
«La musica aiuta. Musica intesa alla maniera dei Grandi Vecchi: Segovia, Cortot, Rubinstein, Rostropovich… che magari ti saltavano una nota ma quando uscivi da un loro concerto ti sembrava di esser un altro. E forse lo eri. Musica che ti cambia, tanto forte è il suo messaggio interiore».
Maestro, a 65 anni, e avendo iniziato a quattro o giù di lì, si sente arrivato all’apice della sua carriera?
Mi guarda stranito: «Io non mi sento proprio niente».