I miti dello sport, per restare tali, devono restare immutabili. Inchiodati all’attimo in cui ci hanno folgorato. Di solito, i più resistenti nella memoria, sono quelli scomparsi nel pieno della vita. Pensiamo a Fausto Coppi e a Marco Pantani nel ciclismo. Oppure a Gilles Villeneuve ed Ayrton Senna nella Formula Uno. “Muore giovane chi è caro agli dei” dicevano gli antichi greci, per dare un senso a un dolore troppo grande per essere compreso.
Campione inossidabile
Ma ci sono delle eccezioni. Per esempio la cosa più sorprendente di Nino Benvenuti, grande pugile degli Anni Sessanta, che diventò campione mondiale dei pesi medi superando Emile Griffith, formidabile boxeur delle Isole Vergini, è che pur avendo raggiunto la ragguardevole età di 84 anni è rimasto come nelle foto di un tempo.
I capelli sono bianchi, certo. E le rughe incidono il bel volto da attore western. Il resto non è cambiato, però. Anche il modo di parlare, pacato, a volte quasi sacerdotale, è identico. Come se tutti quei pugni, quelle oltre novanta sfide da professionista e le altre ferite della vita non lo avessero minimamente intaccato.
La grande notte di New York
Quando si parla di Nino Benvenuti, lo possono verificare anche i millenial che smanettano su Google, viene subito in mente una notte: quella del 17 aprile del 1967, quando 18 milioni di italiani seguirono incollati alla radio il suo primo incontro con Griffith al Madison Square Garden di New York. Una notte epocale perché, attraverso la cronaca di un giovane Paolo Valenti, poi indimenticabile conduttore di “Novantesimo minuto”, popolare trasmissione televisiva della domenica calcistica, intere famiglie rimasero sveglie per sostenere quel nostro pugile sbarcato negli Stati Uniti a sfidare il leone nel tempio della boxe mondiale.
Griffith era il campione mondo dei pesi Medi, un campione che incuteva paura per forza e aggressività. E Benvenuti, italiano di Trieste, anzi di Isola d’ Istria, era andato a provocarlo gridando ai quattro venti, a giornali e tv, che lui era il numero uno della vecchia Europa e che lui gli avrebbe strappato il titolo mondiale.
Parole forti, avventate. Anche se Benvenuti aveva già alle spalle un’invidiabile carriera (era già stato campione mondiale dei super welter e primo ai Giochi di Roma del 1960), Griffith era largamente favorito. Sia perché campione in carica sia perché l’avversario che aveva di fronte era un pugile europeo, di solito mai all’altezza di quelli americani. Solo il francese Marcel Cerdan, il grande amore di Edith Piaf, era riuscito a conquistare la corona iridata negli Usa.
Un successo mondiale
E invece, in una notte memorabile quasi come quella della sfida Italia-Germania 4-3, Nino Benvenuti riuscì nell’impresa battendo nettamente ai punti il campione caraibico. Un successo che farà il giro del mondo e che in Italia ebbe un impatto clamoroso. Erano anni magici per la nostra boxe. Talmente seguita e popolare che le autorità, “per non stravolgere troppo il sonno degli italiani”, preferirono evitare la diretta televisiva temendo, per il giorno dopo, una defezione collettiva dal lavoro.
«Solo dopo in Italia – racconterà Benvenuti – mi resi conto dell’impatto della mia impresa. Stavo vivendo un sogno, ma sapevo che in agguato c’erano altre sfide».
E infatti la sfida con Griffith si ripeterà altre due volte. Nella seconda, il 29 settembre ancora a New York, l’Italiano perderà ai punti dopo aver combattuto con una costola rotta. Infine, il 4 marzo 1968, il Madison Square Garden consacra definitivamente il triestino che prevale su Griffith dopo averlo atterrato alla nona ripresa con un gancio sinistro doppiato alla mascella. L’assalto finale del caraibico non modificherà l’esito dell’incontro, che permetterà a Benvenuti di aggiudicarsi anche il prestigioso premio di Fighter of the Year, della rivista Ring Magazine, unico italiano ad aver conseguito tale riconoscimento.
Le origini a Isola d’Istria
Questo è l’apice della carriera di Nino Benvenuti, quando si consolida il suo mito di straordinario boxeur, ma anche di uomo fiero e generoso. Ma per conoscere bene la sua storia, bisogna tornare indietro, al 1938, a Isola d’Istria, la terra d’origine della famiglia Benvenuti, una famiglia benestante che viveva grazie ai prodotti della terra e ai guadagni della pesca.
«Una infanzia bellissima. Avevamo le barche, il vino e il pesce. Si viveva tutti in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni e noi quattro fratelli. Siamo stati costretti a scappare dal quel paradiso…».
E qui la storia di Benvenuti si intreccia con un drammatico periodo del Dopoguerra quando, in seguito al Memorandum di Londra che nel 1954 assegnò Isola d’Istria al governo iugoslavo di Tito, oltre 300mila italiani furono costretti all’esilio. Un periodo terribile perché molti di loro, invisi dopo la caduta del fascismo, subirono violenze feroci. Persone gettate vive nelle foibe, uomini e donne deportati e fucilati nei campi di concentramento iugoslavi. Vicende tremende, non ancora rimarginate, che hanno avuto fortissime ripercussioni politiche in Italia e che hanno profondamente inciso nella formazione di Benvenuti.
L’approdo a Trieste dopo la guerra
«Il passato resta nella testa e nel cuore», ricorda Nino. «Mio fratello Eliano è stato sei mesi in carcere senza sapere perché. Tornò che era l’ombra di sé stesso. E mia madre ne fu così angosciata che mori di crepacuore nel 1956. Aveva solo 46 anni. Vivevamo col terrore delle persecuzioni. Alla fine ci siamo rifugiati a Trieste dove c’era la pescheria di mio nonno. Devo ringraziare la boxe. Una passione che avevo ereditato da mio nonno e da mio padre. Una passione che mi ha permesso di realizzare tanti sogni della mia vita, senza mai dimenticare le sofferenze».
Partito da una palestra casalinga, con le corde legate a tre colonne come ring, il sacco di juta pieno di granoturco e i guantoni ricavati da vecchie calze, Benvenuti brucia rapidamente le tappe. È un talento naturale, dotato di grande tecnica, con un fisico perfetto di 1 metro e 80 per 65 chilogrammi. A Trieste, la città di un altro grande pugile, Tiberio Mitri, famoso anche per aver sposato la ex miss Italia Fulvia Franco, Benvenuti trova il suo ambiente ideale per diventare uno dei maggiori protagonisti della boxe italiana. Da dilettante ottiene 120 vittorie perdendo solo una volta nel 1958 in Turchia. La consacrazione ai Giochi di Roma nel 1960. Benvenuti non solo conquista l’oro ma viene anche eletto miglior pugile del torneo, superando Cassius Clay, che arrivò secondo.
«Un onore doppio visto che poi Mohamed Alì è stato considerato l’incarnazione del boxeur», ricorderà Nino, sottolineando che in seguito sono sempre stati amici.
Benvenuti e l’amicizia
Ecco, l’amicizia. È un tema che ricorre spesso nella vita di Benvenuti. In tutti i suoi dualismi, l’agonismo anche aspro non trascende mai in odio e rancore. Fu vicino a Griffith quando finì in miseria colpito dall’Alzheimer. E aiutò anche gli altri suoi due storici avversari, il toscano Sandro Mazzinghi, e Carlos Monzon, terribile picchiatore argentino finito in carcere per l’omicidio della moglie. «Andai a trovarlo in carcere, lo guardai negli occhi e capii tante cose. Era un ragazzo forgiato da un’infanzia violenta. Vivere e combattere per lui era la stessa cosa».
In Italia il rivale più temibile di Benvenuti è stato Sandro Mazzinghi, pugile toscano di Pontedera, morto nel 2020 all’età di 82 anni. Battaglie dure, quelle con Mazzinghi, che divisero l’Italia, come per Coppi e Bartali. La loro era infatti una rivalità perfetta: tecnico e bello da vedere, Benvenuti. Duro e cattivo, il toscano. «Sul ring Sandro era un guerriero», disse il triestino ricordando il grande rivale scomparso. «Ti metteva paura: lo guardavi negli occhi e capivi che per lui c’era solo il volerti sopraffare. Per batterlo dovevi dare veramente qualcosa di più…».
La rivalità con Mazzinghi
E fu davvero così. La prima sfida va in scena il 18 luglio 1965 allo stadio di San Siro di Milano davanti a 40mila tifosi scatenati. Sandro Mazzinghi è il detentore del titolo mondiale dei superwelters, il campione da battere che non ha nessuna voglia di farsi battere. Ha 27 anni, come Benvenuti che arriva a quell’incontro dopo aver scalato tutte le classifiche. Gli manca l’ultimo gradino, quello più difficile. E lo raggiunge atterrando il toscano con un magistrale montante destro alla sesta ripresa. Un colpo micidiale. Mazzinghi va al tappeto e perde il titolo mondiale. La rivincita si svolge il 17 dicembre al Palazzo dello Sport di Roma. Un duello senza esclusione di colpi aperto fino all’ultimo round. Alla fine il toscano è una maschera di sangue, il triestino ricorre a una bombola d’ossigeno. Il verdetto arriva dopo un’ora e premia ancora Benvenuti, più brillante nel finale. Tantissime le polemiche. Ci vorranno anni prima che i due facciano pace.
Sono anni straordinari per Benvenuti che culmineranno nella triplice sfida con Griffith. Il tramonto del campione triestino comincerà invece una calda sera d’estate, l’undici luglio 1970, al Palazzo dello Sport di Roma. Davanti a Benvenuti c’è un pugile argentino quasi sconosciuto, Carlo Monzon. Ha una faccia da indio, inespressiva e determinata. Sferra pugni micidiali che sorprendono il detentore del titolo, colpito duramente alla mascella.
La sconfitta con Monzon
Qualche mese dopo, l’otto aprile 1971, ha luogo la rivincita a Montecarlo. Benvenuti è ottimista ma il match si mette subito male per il triestino. La superiorità di Monzon è evidente. Tanto che Bruno Amaduzzi, manager di Nino, preoccupato che finisca male, getta la spugna al terzo round in segno di resa. Benvenuti, furibondo, reagì con rabbia ma poi riconoscerà il torto. «Ho dovuto scegliere tra il pugile e l’uomo, ho scelto l’uomo» dirà a caldo Amaduzzi, che aveva intuito in tempo il dramma umano e sportivo del suo pugile.
E qui finisce la vita pugilistica di Benvenuti. Pochi giorni dopo la sconfitta con Monzon si ritira definitivamente concludendo una carriera straordinaria (90 incontri da professionista, con 82 vittorie, 7 sconfitte e un pareggio). Nella sue seconda vita, farà l’attore per il cinema e la tv. Ma senza convinzione, preferendo l’attività di commendatore sportivo per la Rai.
La vita privata è più burrascosa. Anche più dolorosa di quella sul ring. Benvenuti si è sposato due volte, prima con Giuliana e poi con Nadia, diventando padre di 6 figli, uno dei quali, Stefano, morto suicida mentre stava scontando 4 anni di carcere per un furto di gioielli.
Per un anno, nel 1996, in profonda crisi spirituale, Nino va come volontario nel lebbrosario di Madre Teresa di Calcutta. «Volevo capire. La sofferenza l’ho già conosciuto nella vita e sul ring. Ma non è nulla rispetto a quella dei poveri e dei malati» rispose a chi, con sorpresa, gli chiese come mai avesse fatto una scelta così radicale.
Dario Ceccarelli
Fonte: Il Sole 24 Ore – 25/12/2022