*Ivan Crico
In questi ultimi tempi diversi esponenti del mondo politico locale hanno pubblicato, su queste pagine, delle lunghe riflessioni legate alla proposta d'insegnamento della lingua veneta e delle sue varianti nelle scuole della regione avanzata di recente dal ministro Zaia. Che si parli di queste cose – a favore o contro – è comunque un fatto più che positivo, si badi; ma che può anche dar adito, al tempo stesso, a scorrette interpretazioni. Vorrei allora ricordare, senza far torto a nessuno, che proposte di questo tipo sono state formulate, già da alcuni decenni e con argomentazioni certamente più articolate, da importanti associazioni culturali, in pubblici interventi e con numerosi articoli apparsi su siti, giornali e riviste locali e nazionali. Questo per dire che, al di là del dibattito politico più o meno condivisibile, le motivazioni profonde che stanno alla base di queste richieste affondano le loro radici nel lavoro decennale di molti studiosi veneti e non solo che – alla pari di quelli catalani o irlandesi – si sono posti il problema di porre in salvo questi preziosi linguaggi nel tempo dell'omologazione.
Linguaggi che sono un patrimonio di tutti, sottolineo "tutti", i cittadini della regione Veneto (e non solo del Veneto, ma anche di parte del Friuli Venezia Giulia, Istria, Dalmazia e Montenegro oltre che di molte altre località estere) poiché ci parlano della nostra storia così complessa e stratificata, delle diverse genti che qui si sono incontrate nel corso dei millenni. Come ci ha dimostrato benissimo, del resto, il compianto Cortellazzo nel suo bellissimo dizionario dedicato alla città (allora davvero multietnica) di Venezia nel Cinquecento. Per chi ama veramente questi linguaggi, questi strumenti sonori e grafici che l'uomo ha trovato per comunicare agli altri uomini le proprie necessità primarie come le più profonde aspirazioni interiori, non esistono linguaggi di serie A e di serie B: per questo non è possibile pensare di amare l'italiano senza non amare, al tempo stesso, anche il veneto o il sardo o il piemontese. E viceversa.
Altrimenti non facciamo cultura degna di essere trasmessa alle future generazioni ma rimaniamo confinati, al massimo, nel più bieco campanilismo.
Questa lingue, come il veneto ancor oggi ingiustamente non riconosciute dal nostro Stato, ci parlano di valori, di esperienze maturate nel corso dei secoli, tramandate da padre in figlio, prima che una falsa idea di progresso, legata ad una visione miope del concetto di nazione ed anche a molti interessi commerciali, non cominciasse a cercare di convincere le persone a disfarsi di questo immenso patrimonio per sostituirlo con altri più o meno reali valori. Il passaggio è stato dunque spesso da continuatori (nel senso di chi continua un'opera e a volte la perfeziona) a passivi consumatori. D'altra parte, non si può indurre qualcuno ad accettare od acquistare qualcosa di cui non ha la necessità se non convincendolo che quello che già possiede o non va bene oppure lo squalifica socialmente.
Quante cose sono state buttate via, assieme a questi linguaggi, quante razze animali scomparse, quante antiche mura abbattute per far spazio a presunte migliorie che, con il tempo, si sono rivelate disastrose per l'ambiente od esteticamente di molto inferiori alle cose a cui si sono sostituite.
Gli esempi, come sappiamo purtroppo, potrebbero continuare per pagine.
Il problema è che quest'opera di cancellazione, più o meno palese, di tutte quelle cose che ci legavano al nostro passato, non si è fermata. Continua incessantemente. Dobbiamo cercare dunque – se non vogliamo rimanere senza alcuna memoria di ciò che siamo stati – di promuovere una cultura che si opponga a tutto questo, una cultura in grado di far capire alle nuove generazioni i lati positivi e negativi della storia passata, imparando a difendere quanto c'è stato di buono e, al tempo stesso, liberandosi da tutti quei preconcetti o visioni di parte che sono nate dalla miseria, dall'ignoranza o, purtroppo, dall'interesse. Per cui, in un modo o nell'altro se crediamo in queste cose, la salvaguardia e la valorizzazione della lingua veneta e delle sue varianti dev'essere portata avanti (a fianco dello studio sempre più approfondito dell'italiano e dell'inglese ci si augura) anche nelle scuole. Si tratta di un passaggio necessario. Senza imposizioni e nel rispetto delle tante diverse culture che compongono oggi il variegato panorama del nostro mondo, certo, affinché la differenza non sia più vissuta come contrapposizione ma come una ricchezza di cui tutti possano godere, come un bosco ci appare tanto più bello quanto più in esso vi crescono specie d'alberi e piante tra le più diverse.
*Presidente dell'Istituto di Cultura e Lingua Veneta per il Fvg, Istria e Dalmazia e Montenegro