ANVGD_cover-post-no-img

Gli italiani che scelsero Tito (Voce del Popolo 29 giu)

FIUME – La storia degli italiani che, alla fine della Seconda guerra mondiale, scelsero di rimanere in Jugoslavia per costruirvi il socialismo: repressi dopo la rottura con Tito, molti riuscirono a riparare in Italia, altri finirono nel lager di Goli Otok, l’isola Calva. Questa la schematica “carta d’identità” del libro di Luigi Lusenti (Comedit2000, Milano maggio 2009, pp. 138, prezzo di copertina 15 euro) "Una storia silenziosa. Gli italiani che scelsero Tito", presentato per la prima volta in uno dei “teatri” che ha fatto da scena agli eventi descritti: Fiume (il capoluogo quarnerino è, insieme all’Istria e alle isole, ma anche a Zagabria e a Belgrado e tanti posti della Jugoslavia di Tito, il luogo in cui si svolge l’azione). Introdotti dal responsabile della Commissione Cultura della Comunità degli Italiani, Denis Stefan, dell’opera hanno parlato l’autore, lo scrittore e pubblicista Giacomo Scotti; ma sull’argomento hanno fatto sentire la propria voce anche alcuni protagonisti di quelle vicende, Gino Kmet e Silverio Cossetto, che subirono le sofferenze di Goli Otok, nonché alcuni dei rimasti, presenti venerdì sera all’incontro di Palazzo Modello.

Un titolo volutamente provocatorio, ma che, in effetti, non rispecchia la pluralità di letture e filoni che questo nuovo libro di Lusenti propone al suo interno. Perché questo è, al di là dell’argomento precipuo, un lavoro che parla della travagliata odissea degli italiani rimasti in queste terre; italiani che a Fiume e in Istria, negli ultimi sessant’anni, sono riusciti a conservare la propria identità culturale e nazionale. Il libro di Lusenti rende il dovuto omaggio a questa missione portata avanti spesso con grandi sacrifici e in “silenzio” e finora troppo poco conosciuta in Italia. Tanto che – come ha rilevato Scotti – in occasione del Giorno del Ricordo viene quasi sempre ignorato, nelle varie manifestazioni, il secondo articolo della legge bipartisan che ha istituito la ricorrenza, articolo il quale prevede anche iniziative tese a ”valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero”.

“Avete difeso più voi l’italianità di queste terre di quanti, in Italia, hanno preteso di farlo con grandi paroloni di un ritorno in queste terre e non hanno avuto il coraggio e la forze di confrontarsi con chi, in tali terre, ha mantenuto l’italianità e ha fatto, per la cultura e l’identità italiana, molto di più di ciò che ha fatto lo Stato italiano e le sue istituzioni”, ha dichiarato a Lusenti alla serata di Palazzo Modello, rilevando che, nelle persone – i cosiddetti rimasti – interpellate per la stesura del libro ha riscontrato un’idea radicata di attaccamento all’identità italiana basato non tanto sul rapporto con lo Stato italiano, bensì con la cultura italiana, una cultura che non è sopraffazione ma che vuole confrontarsi con altre culture.

La storia narrata da Lusenti è, per diversi aspetti “silenziosa”. Silenziosa per il colpevole oblio che, da parte dello Stato italiano e delle sue istituzioni, ha investito tale storia; ma silenziosa anche perché molti dei protagonisti, vivi ancor’oggi, preferiscono continuare a tacere. Ricordare la storia è fin troppo doloroso. “Sono passati parecchi anni e ho voluto provare a ricostruirla guardando in faccia le persone, impossessandomi più delle emozioni che dei fatti – ha detto Lusenti –. Ne è uscito un lungo viaggio a cavallo fra il passato e il presente, del quale alla fine mi sono sentito attore come gli altri. Ho incontrato persone, letto libri, consultato documenti, sfogliato giornali e, con Elliot, posso dire che, assieme, ‘alla fine della nostra esplorazione arriveremo là da dove siamo partiti. E conosceremo quel posto per la prima volta’”.

Una storia silenziosa è un libro di memorie, di giudizi e anche di storia, sebbene Luigi Lusenti si dichiari impari al compito di storico. Gian Luigi Falabrino scrive nella prefazione: “Sono state vicende per tanti anni ignorate dalla politica e dall’opinione pubblica italiana, con grande dolore e rabbia sia dei parenti delle vittime dell’odio anti-italiano sia dei profughi giuliani, male accolti e irrisi come fascisti nella madrepatria. Ma sono state anche vicende strumentalizzate da quell’estrema destra che, invece di riconoscere che il vero responsabile della perdita della regione era stato il fascismo con la sua guerra d’aggressione, aveva sempre voluto ignorare le colpe dei ‘buoni italiani’, dall’assalto squadrista all’Hotel ‘Balkan’ (Trieste, 1920) alle sentenze del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato contro croati e sloveni (1930 e 1941), dalla snazionalizzazione tentata e anche operata entro i confini del 1919-43 fino all’invasione della Jugoslavia nel 1941 e alla conseguente occupazione, spesso feroce, di mezza Slovenia, Croazia, Dalmazia e Montenegro.

”Ma nemmeno la Sinistra – ha sottolineato Lusenti a Fiume –, alla quale pur i protagonisti di queste vicissitudini sono rimasti legati, ha avuto il coraggio di riconoscere in modo fermo, con onestà, a testa alta, le colpe di un sistema improntato all’annientamento dell’individuo ritenuto ‘nemico’ o presunto tale dell’ideologia comunista".

I filoni che costituiscono il libro di Lusenti sono molteplici. Il primo riguarda le vicende degli italiani di Fiume e dell’Istria che, dopo l’8 settembre 1943, parteciparono alla guerra di liberazione a fianco dei partigiani di Tito; il secondo filone è rappresentato dalle memorie di quei molti italiani di Fiume e dell’Istria che, dopo la guerra, scelsero di restare nel nuovo stato jugoslavo per “costruire il socialismo”, oppure di quegli idealisti che vi arrivarono dalle vecchie province italiane, come gli operai dei cantieri navali di Monfalcone. Gli uni e gli altri ebbero una delusione terribile quando il Cominform, nel 1948, scomunicò il comunismo nazionale di Tito. Quasi tutti loro si schierarono con Mosca e ne pagarono le conseguenze: arresti, prigione, estromissione dal lavoro e dagli incarichi di partito, e alcuni anche con la terribile detenzione nel campo “di rieducazione” dell’Isola Calva, Goli Otok. La dubbia e oscillante politica del PCI verso il nazional-comunismo jugoslavo costituisce il terzo argomento del libro di Lusenti, mentre il quarto filone del volume è costituito dall’esame delle colpe italiane verso sloveni e croati durante gli anni del Ventennio e dell’annessione alla Germania del Litorale Adriatico, della collaborazione, talvolta feroce, delle truppe repubblichine con i nazisti.

"I nostri gravissimi torti – dice però Lusenti – possono far comprendere le reazioni, altrettanto spietate e ingiuste, degli jugoslavi nel 1943-45: le foibe, le fucilazioni dell’OZNA, la snazionalizzazione, le persecuzioni per costringere gli italiani ad abbandonare le loro terre, le uccisioni dei possidenti ad opera dei contadini. Ma non debbono lasciare sotto silenzio le colpe degli altri". L’autore ripercorre la tragedia delle foibe e dell’esodo. “Questi argomenti, così diversi ma così strettamente intrecciati, dimostrano la complessità e l’utilità di questo libro, importantissimo. Del quale rimane soprattutto la tristezza degli antifascisti italiani in Jugoslavia, delusi nelle loro attese idealistiche, perseguitati e costretti per decenni a chiudersi nel silenzio, oppure a tornare in Italia, apolidi sia nel senso della patria sia nel senso dell’ideologia. La sintesi del libro è un enorme spreco di ideali, d’intelligenza e di lotta al fascismo, traditi dal nazional-comunismo, cui sono seguiti i piccoli nazionalismi degli stati emersi dal disfacimento dell’autoritarismo jugoslavo”, conclude Gian Luigi Falabrino.

Alla CI di Fiume, del resto, l’autore ha ammesso di aver voluto raccontare non la verità, ma storie ed esperienze, affascinato – in un'epoca, quella odierna, in cui si vede in giro solo affarismo, carrierismo, interesse – dalla passione con la quale i protagonisti hanno voluto mettere in gioco tutto, anche sé stessi, le proprie esistenze, la propria vita, per degli ideali, per qualcosa in cui si è creduto operando precise scelte. Molto spesso pagando cara tale scelta, subendo sofferenze fisiche, ma anche morali, nel vedere disilluse e tradite le proprie idee e aspettative. “Ho scavato nelle emozioni delle persone, più che nell'ambito storico. È stata una lezione di vita”, ha riconosciuto Lusenti. E di quanto siano vive ancora oggi tali emozioni, le testimonianze di Gino Kmet e Silverio Cossetto, ma anche del pubblico presente in sala, come le professoresse Erna Toncinich ed Elvia Fabijanić, il connazionale Romeo Sergo e altri. “Che cosa volete ancora da noi?”, hanno chiesto alcuni protagonisti del libro all'autore, il quale ha risposto: “Per quanto dolorose queste vicende, vi chiediamo di continuare a essere testimoni, di ricordare, perché questi drammi – come tanti altri – non vengano dimenticati. È un obbligo morale, perché il silenzio non deve essere messo su questa storia”.

Ilaria Rocchi Rukavina

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.