di Aljoša Curavić
Qualche giorno fa, in piena canicola estiva, ho incontrato il deputato della Comunità nazionale italiana al Parlamento di Lubiana, Roberto Battelli. Mi ha detto di avere paura per le minacce che stava ricevendo dopo che ha firmato la risoluzione dell'Assemblea parlamentare dell'Osce, approvata a larga maggioranza, nella quale vengono condannati i crimini del nazismo e dello stalinismo nei confronti dei diritti umani e civili. Una risoluzione che ha fatto scatenare le ire di un gruppetto di nostalgici russi, che ha gelato i già freddini rapporti fra il governo sloveno e il deputato della minoranza italiana e che ha messo in moto il leader nazionalista, Zmago Jelinčič, nella ricerca delle firme necessarie per una modifica costituzionale che butterebbe fuori dal Parlamento i rappresentanti delle due minoranze, italiana e ungherese. Hmm, le minacce, anche le più velleitarie, sono sempre minacce e, sia pure per un attimo, vanno prese sul serio.
Qualche anno fa ho scritto, per un quotidiano sloveno, un articolo dal titolo: Tito-zombi. Nel commento, dai toni scherzosi, ho avuto l'ardire di fare dell'ironia sulle scritte Naš Tito, disseminate sulle colline lungo il confine italo-sloveno, e di irridere quel fenomeno politico-sociologico, tipico delle dittature: il culto della personalità. Mi hanno linciato centotrentacinque volte, in rete. Allibito, ho scaricato da internet tutto un plico di offese e minacce che alcuni amabili e più o meno anonimi avventurieri della rete si sono divertiti a gettarmi addosso, e l'ho portato da un avvocato per vedere se c'erano gli estremi per una denuncia. Mi ha guardato in un modo strano, non so se allibito perché scomodato per una cosa del genere o per il plico in sé. Per farla breve, mi ha fatto capire di lasciar perdere, perché non ha senso denunciare i fantasmi. Basta saper scindere le minacce vere dai fantasmi fasulli.
Nelle ultime settimane, vuoi per il clima vacanziero, vuoi per l'eclissi solare asiatica, siamo assediati da un'ondata di stucchevole buonismo. I politici in Slovenia, prima di fare le valigie per le vacanze, si sono sperticati a lodare la tolleranza. Bontà loro. Lo ha fatto il Capo dello Stato, Danilo Türk, che ha fermamente condannato l'incitamento all'odio, troppo spesso presente nei discorsi pubblici. Lo ha fatto il tutore civico, Zdenka Čebašek Travnik, che è pagato per monitorare lo stato di salute della società slovena, sempre più ammalata di intolleranza. Lo fa, da quando si è insediato, il premier Borut Pahor. Lo ha fatto il neodeputato europeo Zares, Ivo Vajgl, stupito come un marziano della tolleranza e cordialità che che ha trovato a Bruxelles.
Il nuovo mantra estivo dei politici sloveni non può non piacere, anche se la realtà dei fatti è diversa. Ho paura che le bandiere della tolleranza, issate in piena canicola estiva, non indichino altro se non che i pescecani sono andati in vacanza.