Valerio Di Donato
Se un merito l'ha avuto il clamoroso incidente dialettico-diplomatico di febbraio fra i presidenti Giorgio Napolitano e Stipe Mesic, questo è di aver costretto le opinioni pubbliche italiana e croata, e le rispettive classi politiche e intellettuali, ad affrontare una buona volta la questione del «confine orientale» cercando possibilmente un punto d'incontro. Il muro iniziale da abbattere si chiama «resa dei conti» con la Storia. Necessaria autocritica degli errori che non sono mancati da una parte come dall'altra A Zagabria, come a Pola o Fiume, il dibattito è molto meno monolitico di quanto si possa pensare. Qualcuno, come il direttore del settimanale «Globus», Denis Kulish, si è anche azzardato a criticare apertamente la massima carica dello Stato invitandolo a fare le valigie. Giornalista eccentrico, con il gusto della provocazione e il coraggio dell'isolamento mediatico, denuncia la mancata «resa dei conti con il passato» nel suo paese. «Sui crimini del fascismo – disserta sulla terrazza di un grande hotel di Zagabria – sappiamo tutto, mentre quelli commessi dal comunismo sono rimasti senza alcuna spiegazione. E la ragione è che in Croazia c'è stata una sostanziale continuità di governo con il passato regime e, a differenza della Germania che si è denazificata, non è stata fatta pulizia dei vecchi funzionari, come non lo è stato fatto neppure in Italia o in Austria. Nel suo intervento contro Napolitano, Mesic ha avuto come consigliere l'ex responsabile dell'Ozna (la polizia politica di Tito che spadroneggiò nel primo dopoguerra, successivamente sostituita dall'Udba, ndr) per la Dalmazia Centrale, coinvolto anche nel rapimento a Roma e nell'eliminazione a Belgrado di un dissidente. Come il vostro Abu Ormar», sorride luciferino il dottor Kulish. Chiaro. Ma dove vuole arrivare? Lungo sospiro, un sorso d'acqua e via di nuovo a ragionare: «Storicamente parlando nella ex Jugoslavia ci sono state tre pulizie etniche fra loro collegate, nel periodo 1945-47: verso gli italiani di Istria e Dalmazia con le foibe e l'esodo di 250.000 persone; verso la minoranza tedescain Slovenia e Vojvodina, accusata di collaborazionismo, in tutto circa mezzo milione di persone, di cui 200.000 eliminati nei lager sloveni; e l'ultima verso gli albanesi, cacciati in 500 mila da Kosovo e Macedonia verso la Turchia, fra eccidi e vendette. In quell'epoca si sono confrontate due ortodossie, una nazionalista e una comunista». «Ora – conclude Denis Kulish – io credo che sia importante fare pulizia in casa propria, pentirsi delle proprie colpe e non guardare in casa altrui. Nelle parole di Napolitano non ci ho trovato nulla di sbagliato, non ho capito la polemica che ne è sorta, mentre Mesic è stato sicuramente colto da una amnesia totale».
La tesi del «piano preordinato» di eliminazione delle minoranze etniche nella nuova Jugoslavia post-bellica, se è accettata per quanto riguarda i tedeschi, non è condivisa a proposito degli italiani da un altro giornalista e scrittore noto per la sua apertura al dialogo, Milan Rakovac. Lui è figlio di un eroe partigiano, Joakin, sorpreso e ucciso nel gennaio del 1945 dalle SS durante una riunione clandestina (gira voce dopo una probabile "soffiata" giunta dai suoi stessi compagni di lotta), e nipote di Ive, fiero patriota croato internato ed eliminato nel lager di Flossemburg, vicino a Dachau. Rakovac non nega certo gli infoibamenti: «Ci furono, sì, nonostante precisi ordini, impartiti anche ma non solo da mio padre, di non toccare i prigionieri. Le vittime del settembre-ottobre 1943 in Istria erano quasi esclusivamente fascisti che sapevano tutto delle persone in clandestinità Ricordiamoci che durante l'offensiva dei tedeschi e della Rsi per riprendere il controllo del territorio vennero uccisi 5.000 civili e altri 43.000 furono deportati nei lager in Italia». «La storia dell'Istria parte da lontano – si accalora Rakovac accentuando il tono evocativo -, dal risveglio dei nazionalismi nel 1848. Il fascismo di frontiera qui ha portato il "culturicidio", con l'oppressione degli slavi, la guerra invece il genocidio di marca nazi-fascista e le brutali vendette di massa perpetrate dai comunisti. Ma il vostro "Giorno del ricordo", invece di favorire la comprensione e la riconciliazione, ha fatto fare di nuovo un passo indietro, negli anni Sessanta, a tutti, provocando un'ondata revisionista in Italia, come in Slovenia e Croazia. Sappia – mi ammonisce quasi parlasse al portavoce di una potenza straniera – che la vita profonda della gente, in Istria, nonostante la propaganda dei media come l'incredibile film "il cuore nel pozzo", è sempre stata all'insegna della vicinanza e della convivenza Bisogna tornare al dialogo, puntando su uomini aperti come Illy e gli intellettuali del forum Tomizza».
In Croazia si andrà alle urne in novembre, per il rinnovo del Sabor, il Parlamento. Ma la campagna elettorale è iniziata con largo anticipo, e la polemica accesa da Mesic non è estranea ai giochi politici interni Ne è convinto Damir Grubisa, vice-rettore della Facoltà di Scienze Politiche di Zagabria, altro grillo parlante dello scenario cultural-mediatico croato. Politologo molto attento alla realtà italiana (ha appena pubblicato un libro sul "berlusconismo", fenomeno populista e corporativo che dice – ha molti ammiratori fra i nostri imprenditori"), il prof. Grubisa legge nelle parole di Giorgio Napolitano una «concessione fatta alla Destra italiana» con un linguaggio che ricorda gli anni Cinquanta, i tempi di Pella e delle tensioni ai confini italo-jugoslavi. «Ho criticato Mesic per come si è espresso, occorreva agire per le vie diplomatiche, tuttavia ha toccato temi reali L'Italia, non avendo processato i propri criminali di guerra, non si è mai purificata del proprio passato. Mentre la Croazia ha cominciato a farlo solo di recente e in modo parziale, con riguardo alla verità sulle stragi contro gli ustascia, massacrati assieme ai domobranci sloveni, dopo la guerra (il riferimento è all'eccidio di Bleiburg, costato la vita a oltre 200 mila persone, ndr). Indubbiamente, una pulizia etnica verso gli italiani dell'Istria e Venezia Giulia almeno in parte c'è stata, ma per appurare le precise responsabilità di tutte le parti in causa, bisogna riattivare la commissione mista di storici italo-croata. Solo alla fine di questo processo sarà possibile costruire una memoria condivisa e dare luogo all'incontro fra i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia per la riconciliazione fra le rispettive nazioni».
Riconoscere i lutti e le tragedie dell'«altro», nel rispetto della reciprocità. Non si scappa da questo passaggio obbligato per giungere alla riconciliazione delle memorie. «Dobbiamo fare come i francesi e i tedeschi a proposito dell'Alsazia e della Lorena, mettersi a scrivere insieme i libri di storia, adottare gli stessi testi nelle scuole, smettendola con le speculazioni di parte», è la riflessione dello scrittore fiumano Giacomo Scotti. «Ma si può fare anche altro – è la sua provocazione più recente , ampliare l’oggetto del Giorno del Ricordo, venire a Podhum, o in uno dei 400 villaggi bruciati in Istria dopo il 4 ottobre del '43, oltre che rendere omaggio alla foiba di Basovizza. Cinquemila istriani fucilati, altri 12.000 deportati a San Sabba e in Germania, perché nessuno si ricorda di loro, non c'erano forse fra loro anche italiani? Bisogna finirla con la propaganda. Anche sulle cifre. E orrendo disquisire sul numero dei morti, ma va ribadito che, secondo gli storici più seri, le vittime delle foibe non furono più di tremila». La frattura fra i due mondi (eredi dei vincitori e dei vinti) e le due memorie, è più mentale che fisica E sono in molti a credere che un gesto comune, dall'alto valore simbolico, potrebbe magicamente ricomporla «Mettiamo una croce, come simbolo di pace, nei pressi di una foiba, io propongo Veli Golji, vicino a Vines», ripete da qualche tempo il deputato della minoranza italiana al Sabor croato, Furio Radin, inimicandosi così le associazioni partigiane croate. Oppure, come suggerisce Milan Rakovac, la riconciliazione potrebbe essere suggellata commemorando insieme a Basovizza, i martiri italiani e slavi. Quando, e se, ciò avverrà, il confine orientale non sarà più un muro ideologico e psicologico invalicabile, ma la porta di una casa comune, aperta a tutti. Una casa della memoria, dove raccogliere, leggere, e onorare insieme, la storia di tre popoli in un'unica terra
2 – Fine. (La precedente puntata è stata pubblicata il 29 maggio)