Nel Punto Franco, a Trieste. Qui il nome evoca indirettamente splendori commerciali ed emporiali passati, decreti imperiali absburgici che trasformavano il nobile ma angusto borgo nel porto della Mitteleuropa e in un crogiolo di genti diverse. Ora arrivano navi, soprattutto turche, dai cui ventri escono grandi autocarri che si disperdono nei più diversi Paesi. I camionisti, che arrivano periodicamente, si riposano all'ombra mangiando qualcosa prima di partire, nostri frontalieri di oggi di cui non sappiamo nulla, perché è più facile interessarsi delle frontiere e delle chiusure del passato ora superate, come quella con la Slovenia. Anni fa, durante il mio breve mandato parlamentare, mi sono trovato coinvolto in un conflitto fra il ministero dell'Interno e la Polmare, la polizia marittima, relativo a un gruppo di curdi sbarcati clandestinamente, che il primo accettava e la seconda rifiutava di lasciar transitare per Trieste; ricordo le facce gravi di quei fuggiaschi — accovacciati fra i montacarichi e gli elevatori, sotto le gru elettriche simili a uccelli preistorici — con i quali ci intendevamo in tedesco, la lingua del Paese in cui cercavano di andare e in cui alcuni di essi erano già stati. Accanto al Punto Franco c'è l'Ausonia, uno stabilimento balneare da estate fitzgeraldiana degli anni Trenta — gli anni in cui era frequentato dai nomi mitici della triestinità — con le sue bagnanti che ricordano la bellissima ragazza cantata da Saba, la cui improvvisa ombra di malinconia sulla bocca altera, dice la lirica, sposava per un attimo la sua aurora alla sera del poeta.
In queste settimane un grande magazzino del Punto Franco ospita una strana merce, una favolosa poesia, antica di milioni e milioni di anni, di pietre, cristalli e gemme dai colori incredibili e iridescenti. Agate, calcedoni dal rosso tenue o intenso, quarzi cristallini, soprattutto citrini e ametiste, ambra, opale, fossili che, come le alghe stromatoliti, risalgono al Precambrico, anche più di due miliardi di anni fa. Le dimensioni sono varie, piccole o gigantesche, come ad esempio una specie di enorme volta di cielo stellato costituita da un'ametista punteggiata di riflessi luminosi. Le screziature delle pietre disegnano paesaggi, osservava Vittorio Sgarbi, e anche le figure più strane: volti umani, golfi marini, calici, fiori impensabili; una sezione di geode di quarzo ialino brasiliano, che ha 130 milioni di anni, simula quasi perfettamente la bellezza dell'iride dell'occhio umano.
Iridescenze, disegni fantastici, immagini realistiche o deliri dell'immaginario, venature di colori — specie azzurri — incantevoli, luce imprigionata nella pietra in cui sembra ardere; è come se questi cristalli e queste pietre fossero lastre in cui siano rimaste impresse la bellezza di laghi e montagne, ma anche le allucinazioni di una droga, l'istante in cui un fuoco d'artificio disegna un enorme fiore nella notte. Queste pietre, questi cristalli sono un mosaico del mondo e sono anche una sua radiografia, il tempo rappreso della sua storia. Arrivano, per la maggior parte, dall'America meridionale e in particolare dal Brasile, ad arricchire la collezione Ipanema di Primo Rovis, non meno bizzarro e imprevedibile di queste pietre che sono divenute la sua passione dominante. Nato ottantasette anni fa in una famiglia assai povera in un paesino interno dell'Istria, rimasto orfano da ragazzo, Rovis ha iniziato a lavorare come aiuto-commesso in un negozio di alimentari a Trieste ed è divenuto un imperatore del caffè, uno dei massimi contribuenti d'Italia, un uomo che nel 1980 pagava complessivamente 650 milioni e 470 mila lire di tasse e si dichiarava lieto di pagarle, in quanto desideroso di vivere in un Paese civile per tutti e soddisfatto del molto denaro che comunque gli restava. Il garzone istriano travolto come tutti dall'esodo seguito all'occupazione jugoslava ha avuto modo, anni dopo, di insegnare al maresciallo Tito come si fa un buon caffè, mettendolo dietro il banco alla Fiera di Zagabria, ed è divenuto un filantropo nei più vari settori sociali.
Con quelle pietre che si aggiungono alle altre del suo deposito, potrebbe fare cospicui guadagni; il loro valore, attestato da scienziati di mezzo mondo, attira musei di ogni parte, specie a Mosca, e farebbe la gioia di qualche sceicco o di qualche altro miliardario, anche se Rovis rischia di innamorarsi troppo dei suoi cristalli e di volerli per sé. In quella bellezza, non creata dagli uomini, vorrebbe vedere «l'arte di Dio», quasi le mirabili screziature talora incredibilmente mimetiche della realtà obbedissero non al caso o a un mero processo chimico bensì a un disegno, così come nel Doktor Faustus di Thomas Mann il padre di Adrian cerca di decifrare le scritture del firmamento stellato o delle striature sulle conchiglie come fossero alfabeti. Comunque non è chiaro cosa sia vivo e cosa non lo sia. Dall'alchimia a tanta grande letteratura, la vita segreta e il significato dei minerali hanno affascinato gli uomini. Dinanzi al grande mare, questi geodi ora al Punto Franco dicono che le profondità della terra hanno bellezze non meno enigmatiche di quelle del mare. Come il mare, anche questi miliardi di anni cristallizzati danno un senso sereno, confortante della nostra insignificanza; le pietre, dice una poesia di Goethe, sono antiche maestre.
Claudio Magris