LETTERE
«Sono nato qui nel ’55 e cerco la mia mamma. Sono stato battezzato con il nome di Mario Stipancich».
Così cominciava la mia lettera che è stata pubblicata nel Piccolo il 19 ottobre 2007. Dopo la pubblicazione della mia «confessione», ho ricevuto notizie da persone che conoscevano bene la mia storia, e le circostanze della mia adozione.
Con la posta mi è arrivata una lettera con alcune foto della mia mamma, da giovane. Per la prima volta nella mia vita ho messo i miei occhi su un viso, su uno sguardo al quale assomiglio. Occhi uguali, le sopracciglia con stesse ciglia scure, un sorriso identico. Ho capito subito che io porto le stesse caratteristiche fisiche materne. Chissà se porto anche le caratteristiche del carattere di lei.
Sono arrivato a Trieste nel giugno 2008, dove sono rimasto per tre settimane, con una gran voglia e speranza di incontrare durante questo tempo mia madre. Subito dopo il mio arrivo, ho avuto l’occasione di vedere il paese in Istria, a meno di venti chilometri da Trieste, dove una volta viveva mia madre. Ho visitato il cimitero del paese di Gradin (dove sono sepolti i miei nonni materni, e mio zio di cui non sapevo nulla sino ad allora). Ho conosciuto la storia della mia famiglia, le sue origini e probabile arrivo dalla Francia nell’epoca Napoleonica e tante altre cose che mi hanno dato la sensazione di essere parte di un luogo che mi è apparso subito molto familiare.
Finalmente è arrivato il momento per telefonare alla mia mamma. Il desiderio era forte, l’emozione anche, il coraggio quasi mi mancava. Con le domande in mano degli appunti da seguire per non dimenticare nulla ho preso il telefono e ho composto il numero. Mi ha risposto lei, la mia mamma. Per più di mezz’ora abbiamo parlato, io sempre con lo stomaco in gola, con la paura che ad un certo momento volesse chiudere il telefono. Però dalla sua voce sentivo che si stava stancando, che la telefonata era molto stressante per lei. Volevo darle un po’ di tranquillità. Le ho detto che sarei rimasto a Trieste per altre due settimane, e che mi sarebbe piaciuto vederla, abbracciarla.
Le ho dato il mio numero di telefono, però l’ultima frase che lei mi ha detto, mi ha fatto capire che l’incontro non si sarebbe realizzato mai. «Devo parlare con E. (la sorellastra mia) e vedere che dice lei». La speranza di vedere mia madre naturale si era ridotta quasi a zero. Pochi giorni dopo ho deciso di seguire un’altra strada. Le ho mandato un mazzo di rose, con un biglietto, sul quale avevo scritto di nuovo il mio numero di telefono, in caso che lei si decidesse di vedermi prima della mia partenza. La tanto attesa telefonata non l’ho mai ricevuta, ma non saprò mai neanche se lei avesse ricevuto le rose, non credo.
Tre giorni prima della mia partenza ho ricevuto la notizia che dal Canada è arrivata ad Opicina la famiglia con la quale abitavo subito dopo che mia mamma mi aveva abbandonato. Il mio viaggio a Trieste si è concluso con una cena dove ho avuto la fortuna di rivedere la mia seconda mamma e dove sono venuto a conoscenza di altre piccole tessere del mosaico della mia storia.
Durante la mia vita, ho avuto quattro mamme: la mamma biologica, la mamma M. con la quale abitavo per tre anni prima che emigrasse con la famiglia in Canada, la mamma S. con la quale ho vissuto per sei anni, sino alla mia adozione negli Stati Uniti; e la mamma B. che ancora vive negli Stati Uniti, però in una casa di cura e, purtroppo, sempre a letto. Sono passati tanti anni e solo per una favorevole coincidenza ci siamo ritrovati con la «seconda» mamma M. nella stessa città, nello stesso momento della mia presenza e della sua. Questo emozionante incontro non ha però compensato l’amarezza di dover partire senza vedere la mamma che mi ha generato.
Alla trama della mia vita mancano ancora fili, e spero che un giorno potrò completare questo intreccio. Un tessuto dove potrò guardare ogni tanto per ricordare tutte le mamme che hanno fatto parte della mia vita, e che mi hanno dato, negli anni, durante i quali vivevo con ciascuna di loro, tanto amore per spingermi avanti sulla strada della mia vita, nonostante tutto quanto passato, straordinaria.
Mario Stipancich
John M. Ruppert