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Alle radici dell’italianità (Il Piccolo 29 ago)

di SERGIO BARTOLE

Le polemiche di questi giorni sull'identità nazionale italiana rivelano la presenza nell'opinione pubblica di una larga fetta di insensibilità per una tema che tocca direttamente le ragioni dell'unità della Repubblica. Il problema non è soltanto il partito della Lega, è anche il problema di chi ritiene che la preferenza accordata ai dialetti rispetto alla lingua italiana e il misconoscimento della portata evocativa dell'inno nazionale sono semplici "carezze" fatte agli elettori di quel partito. Quasi che le esternazioni di un personaggio politico non debbano essere prese sul serio e non costituiscano un impegno politico motivatamente assunto con coloro che ne condividono le posizioni. Chi sminuisce l'importanza delle dichiarazioni di Bossi, le tratta alla stregua di chiacchiere da osteria e ridimensiona il ruolo del personaggio, ma dimostra anche scarsa sensibilità per il tema dell'identità nazionale.

Se è questione di insensibilità e la discussione non trova reazioni convincenti nell'opinione pubblica, è, però, inutile prendersela con chi di "carezze" ha parlato, e conviene invece allargare il discorso e cercare di capire se si tratta di una tendenza che ha radici culturali che vanno aldilà dell'odierno episodio. Giustamente, nel tentativo di trovare una spiegazione, Rusconi ha, sul quotidiano La Stampa, addebitato una forte componente di responsabilità a quegli indirizzi storiografici che hanno abbandonato il terreno della ricostruzione dei processi che hanno portato all'unificazione italiana e al suo consolidarsi, per ergersi a giudici delle scelte politiche che hanno guidato quei processi medesimi. Negli ultimi decenni frequente è stata, in effetti, la censura, in nome di non meglio precisati principi di federalismo, della centralizzazione amministrativa dello Stato italiano. Al quale si è poi addebitata una ingiustificata insensibilità per le manifestazioni religiose del popolo italiano. E questo, d'altra parte, sarebbe stato estraniato – si è detto – da un corretto esercizio dei suoi diritti di partecipazione politica dalle troppe concessioni alle prassi del trasformismo politico. Cui sarebbero da imputare anche le profonde diversità fra economia settentrionale e meridionale, l'una pregevole per la capacità di intrapresa e innovazione, l'altra attestata nella conservazione dei privilegi e dei vantaggi di ceti improduttivi. Il fatto è che quando si sono fatti questi discorsi, si è preteso di sostituire le proprie valutazioni, in accordo con i parametri politici di oggi, al giudizio delle classi politiche del passato, così rifiutando di riconoscere come legittima componente della storia del nostro Paese quel passato.

Esercizio, questo, privo di qualsiasi giustificazione quando si pongono a confronto momenti della nostra storia lontani e fra loro non comparabili. Come, invece, è potuto avvenire quando in tempi repubblicani si è fatta e perpetuata la polemica contro il ventennio fascista in ragione dell'attualità politica di un conflitto allora di ancora perdurante rilevanza.

Frantumare la storia d'Italia in una serie di giudizi decontestualizzati significa perdere di vista le ragioni di uno sviluppo storico che ha visto il superamento nel tempo, in forme sempre diverse e particolari, di vicende e fenomeni che oggi trovano troppo facile censura. Laddove è proprio in quello sviluppo storico che stanno le peculiarità dell'identità nazionale italiana, che non è qualcosa di fermo e definito una volta per tutte, ma è fatta di evoluzione e processi conclusi e in atto, in cui hanno speciale rilievo sia la chiusura dei conti con il passato che le aperture al futuro più o meno prossimo. Dimenticare questo profilo significa buttare via con l'acqua sporca della transizione storica anche il bambino di un'Italia che si è fatta e si fa giorno per giorno.

In tale prospettiva, dei segni dell'identità nazionale non è facile e consentito disfarsi a meno che non ci si voglia disfare della continuità dello Stato italiano. Talvolta ai concetti elaborati dai giuristi si rimprovera astrattezza e disattenzione per la concretezza della vita di ogni giorno. Però, pare giusto e sensato riconoscere che quando i costituzionalisti affermano che lo Stato repubblicano di oggi è lo stesso Stato dello Statuto Albertino di ieri, con la sola fondamentale variante del cambio di costituzione, colgono bene la continuità dello Stato italiano e, quindi, della nostra identità nazionale, aldilà delle differenze di ordinamento politico e istituzionale riscontrabili nel tempo. I politici che dimenticano questo aspetto, non peccano solo di ignoranza ma anche di presunzione e, del resto, è vero che spesso l'una viaggia assieme all'altra.

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