ANVGD_cover-post-no-img

D’Annunzio a Fiume: idee ancora moderne (Il Piccolo 30 ago)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

«Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei Comuni: la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà; l’uomo intero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono; il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo».

Sembra poesia in prosa. Parole dettate dal cuore di un sognatore a chi deve fare i conti con la politica, con la realtà. E in effetti a scriverle, quelle parole, era un grande poeta. Il vate, come venne soprannominato Gabriele D’Annunzio, che alla fine della Prima guerra mondiale si era lanciato nell’impresa di piegare l’immaginazione ai voleri dell’azione. Imbarcandosi in quella folle, audacissima, clamorosa azione militare che, nell’ottobre del 1918, tentò di annettere Fiume alla Venezia Giulia. All’Italia.

Erano parole di un rivoluzionario, quelle che D’Annunzio aveva voluto inserire nella Costituzione di Fiume. Concetti che colpivano duro, come staffilate assestate in piena faccia a un’Italia governata dall’indecisione e dal timore. A un palcoscenico della politica mondiale ingabbiato in una ragnatela di interessi economici, di equilibri nazionali, di maneggi internazionali. Frasi e proclami che colpiscono ancora oggi e tracciano una fisionomia dell’impresa di Fiume ben diversa da quella che ci è stata raccontata dai libri di scuola.

Basta leggere un volume come quello che Castelvecchi manderà in libreria a partire da mercoledì, ovvero ”La Carta del Carnaro e altri scritti su Fiume” di Gabriele D’Annunzio, curato dal romano Marco Fressura e dal triestino Patrick Karlsen, con una prefazione di Giordano Bruno Guerri (pagg. 160, euro 16), per rendersi conto che l’impresa fiumana non fu soltantoun laboratorio di slogan, atteggiamenti e roboanti proclami pronti per l’uso per la futura Marcia su Roma e per il regime fascista. No, il poeta-soldato e i suoi uomini diedero forma a un’utopia che ancora oggi si rivela modernissima. Anticipatrice di speranze e illusioni che sarebbero riaffiorate, poi, lungo tutto il corso del Novecento.

La storia è nota. D’Annunzio e i suoi legionari partirono da Ronchi alla volta di Fiume per spazzare via con un atto d’orgoglio le delusioni della ”vittoria mutilata”. Le frustrazioni seguite a una Prima guerra mondiale da cui l’Italia era uscita vincitrice, ma solo in parte. Ben presto, però, il vate e i suoi uomini si resero conto che la madre Patria non li voleva. Non se la sentiva di imporre agli Stati Uniti, alla Francia, alla Gran Bretagna l’idea di una Fiume italiana. Finì con il Natale di sangue, quando la Marina italiana, nel dicembre del 1920, fece sgomberare la città a forza, cannoneggiandola.

Ma prima che arrivasse la pioggia di fuoco del Natale 1920, a D’Annunzio restò il tempo di sognare. Insieme ad altri personaggi in attrito con l’overdose di realismo che animava la politica. Basterebbe citare Alceste De Ambris, il sindacalista rivoluzionario che scrisse la bozza della Costituzione da sottoporre al Comandante. E che, in quella che verrà chiamata la Carta del Carnaro, inserì concetti esplosivi. Ad esempio, la proprietà privata non veniva riconosciuta come «il dominio assoluto della persona sopra la cosa», ma la trattava «come la più utile delle funzioni sociali». Al punto che «nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può essere lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione di ogni altro. Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro».

Attentissimo a non infastidire i suoi seguaci filo-monarchici, tanto che preferì chiamare Reggenza di Fiume quella che di fatto era una Repubblica, D’Annunzio non temeva di prendere a sberle i cultori del capitalismo. Matteo Pantaleoni, l’importante economista che a Fiume si era assunto il difficile compito di ministro delle Finanze, non potè che definire la Carta del Carnaro, come ricorda Guerri, «incompatibile con ogni attività economica moderna, in contrasto con qualsiasi Codice civile e commerciale moderno». Anche perché trattava «i datori d’opra come malfattori da sorvegliare».

Non era certo quello l’unico sgarro fatto da D’Annunzio e da De Ambris ai benpensanti. Al Vaticano non fece fare salti di gioia la decisione di considerare la musica «un’istituzione religiosa e sociale». E nemmeno la dichiarazione che «per entrare nel regno dello spirito umano», di cui si annunciava l’avvento, i fiumani erano invitati a coltivare le Muse. Tutti i culti religiosi erano ammessi, così come venivano garantite le libertà di pensiero, stampa, azione e associazione. La scuola e la «coltura» venivano considerate «l’aroma contro le corruzioni, la saldezza contro le deformazioni». In aula, ognuno poteva insegnare la propria lingua e a uomini e donne venivano riconosciuti gli stesso diritti.

Ma soprattutto, da Fiume partiva il progetto di creare una comunità delle nazioni oppresse. In contrapposizione con le Nazioni Unite, accusate di fare gli interessi solo dei più forti. Ed è logico che sventolando idee così esplosive, in rotta di colisione con gli equilibri politici del suo tempo, D’Annunzio si tirò addosso l’ira dell’Italia e degli altri potenti.

Certo, come sottolineano Fressura e Karlsen, non mancò quella coreografia di slogan («Ardisco non ordisco», «Cosa fatta capo ha») di roboanti proclami («Il diritto di Fiume è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano»), di colpi di mano (l’interruzzione delle operazione di scrutinio dei voti da cui sarebbe emerso che Fiume era d’accordo con il progetto di Stato libero formulato dal capo del governo italiano Francesco Saverio Nitti), che sarebbe tornato utile al fascismo. Eppure, ancora oggi l’utopia fiumana si rivela un sogno avveniristico. Una fuga in avanti, sulle ali di idee modernissime.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.