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D’Annunzio marcia ancora (Voce del Popolo 17 set)

La vicenda di Fiume italiana, dal colpo di mano di D’Annunzio del 12 settembre 1919 fino al Natale di sangue dell’anno successivo (quando i legionari dannunziani vennero sloggiati dalle truppe regolari italiane) occupa in genere nei testi di storia poche e frettolose righe. Il poeta, rovente nazionalista e interventista, dopo un’ardita e storica “impresa” occupò con un corpo di volontari la città, istituendovi il comando del Quarnaro. Fiume era rivendicata dall’Italia, ma il patto di Londra del 1915 l’assegnò alla Croazia; in base al trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 fu dichiarata città libera, ma D’Annunzio resistette alle risoluzioni dell’accordo e il governo italiano dovette intervenire per cacciare i legionari con la forza. Fin qui, stringatissima, la storia. Che, nei libri, è così com’è.

L’episodio della bandiera italiana inneggiante a Gabriele D’Annunzio e agli arditi – issata da ignoti lo scorso fine settimana in Piazza della Risoluzione a Fiume –, intanto continua a tener banco nei media elettronici della maggioranza. La polemica, a tratti aggressiva, virulenta e maligna, alimentata dai soliti “guardiani della rivoluzione” della tv di stato e di qualche emittente locale, sta raggiungendo in questi giorni toni e interpretazioni che spaziano dal goffo al grottesco. È bastata un’innocua e inoffensiva provocazione, come ce ne sono tante ogni giorno in tutte le città del mondo, una sciocchezza, che per taluni non va più in là di uno scherzo di cattivo gusto, a far scattare in piedi non soltanto i pasdaran di certe tv, ma anche storici, un accademico (indovinate chi?), politici, corrispondenti esteri… Dall’altra parte, invece, come spesso accade in circostanze legate agli infelici rapporti storici tra Italia e Adriatico orientale, troviamo rappresentanti della nostra comunità nazionale messi, loro malgrado, nelle condizioni di dover spiegare, distanziarsi e condannare gli “autori dell’insano gesto”: insomma, una situazione in cui la società, o una sua consistente parte, lacerata da timori atavici e da una malcelata insicurezza storica, esige di continuo da noi nuove “prove di lealtà verso la Patria”…

È ciò che, credo, dovremmo smettere di fare. Lealtà vuol dire solamente rispettare le leggi e pagare le tasse. È pertanto inammissibile e moralmente inaccettabile che qualcuno si arroghi il diritto di pretendere da noi, unicamente perché italiani, di distanziarci, quasi di scusarci e produrre ennesime dimostrazioni di patriottismo per cose con le quali non abbiamo nulla a che vedere, con le quali non c’entriamo, che non abbiamo commesso, che non ci riguardano, di cui devono occuparsi eventualmente la polizia o altre istituzioni dello stato. Fatti come questo della bandiera vanno condannati anche da noi – se è stata violata qualche legge –, ma non perché cittadini di nazionalità italiana, ma perché cittadini della Croazia uguali in tutto e per tutto agli altri quattro milioni e mezzo di croati ai quali non si chiede nulla: né di pronunciarsi, distanziarsi e condannare le scritte offensive che appaiono di continuo sui muri delle nostre scuole, di pronunciarsi su episodi in cui vengono bruciate le bandiere della CNI, imbrattate le sedi diplomatiche italiane, portate avanti campagne di stampa antiitaliane, discriminati gli italiani come nel caso della PBZ, insultati nelle polemiche sulla doppia cittadinanza anche dalle più alte cariche dello Stato, discriminati e offesi su base nazionale in precise aziende di stato. Tralasciamo in questo momento le tossiche polemiche opportunamente montate e riguardanti francobolli, film, attrici italiane di origine istriana, giornate del ricordo… A questi quattro milioni e mezzo di cittadini croati non viene chiesto neppure di distanziarsi, giammai condannare, certi capitoli non proprio superbi della loro storia più o meno recente. D’altra parte i soliti storici, accademici, politici e sociologi, unitamente alla tv e alle istituzioni dello stato preferiscono occuparsi di bandierine piuttosto che affrontare i veri problemi del paese. Non parlano di criminalità organizzata, di corruzione ai più alti livelli dello stato, di povertà epidemica, di disoccupazione, licenziamenti, intolleranza, nazionalismo diffuso ed esaltazione dell’iconografia ustascia ai concerti di Thompson contornati da saluti fascisti e permeati da odio urlato nei confronti del diverso. Di queste cose la tv di stato non si occupa. Come del resto potrebbe farlo se ai concerti di Thompson assistono anche ministri del governo, ben consapevoli che il nazionalismo oltre che trovare terreno fertile nelle classi più povere e diseredate serve come antidoto alla miseria e alle mediocrità personali, come deterrente alla protesta. E quando i governi non possono nascondere gli insuccessi non si fanno scrupoli di alterare i fatti e la storia: tutti i governi indipendentemente dal colore politico sono capaci delle più atroci disonestà.

E come pretesto possono servire anche insignificanti e ridicole bandierine e un D’annunzio che in Croazia, si converrà, pochi sanno chi fosse. Ciò che conta è far leva sul sentimento nazionale delle masse, sviare l’attenzione dai gravi disagi esistenziali del momento e fabbricare presunti pericoli per l’integrità territoriale del paese. Così si amalgama e si omogenizza il popolo. È una formula di tragica memoria storica che ha sempre un solo obiettivo: mantenere il potere.

Errol Superina

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