di LUIGI TUREL
Un museo del Sabotino. E del territorio. Nelle sue diverse espressioni: artistiche e naturalistiche. Dove poter magari anche vedere riprodotti i sussulti della terra. Perché sotto, a qualche decina di chilometri, si incontrano e scontrano due faglie, quelle che hanno determinato il corso dell’Isonzo.
Si realizza un sogno a quota 553. Buona parte degli spazi dell’ex casermetta saranno affidati al Centro per le ricerche archeologiche e storiche nel Goriziano. È scattato il conto alla rovescia: il primo ottobre è la data fissata per la consegna ufficiale delle chiavi da parte dell’Agenzia del demanio civile al presidente del Crasg Mario Muto. Un bel regalo per lui che si prepara a festeggiare i 68 anni. Un regalo dovuto a chi da trent’anni si spende in ricerche, riportando alla luce le rovine dell’eremo di San Valentino (Michelstadter saliva a quel poggio per isolarsi in meditazione) e le «memorie materiali» di quel mattatoio che fu la Grande guerra. Erano i primi anni Ottanta quando, sotto gli occhi benevoli dei soldati, con una baionetta iniziava a fare i primi sondaggi per individuare l’eremo. Un regalo che lui fa alla città.
L’ex casermetta – nota ai contemporanei quasi esclusivamente per le diatribe sul tricolore spento – diventerà un museo. Ma non sarà affatto un contenitore cristallizzato sulla Grande guerra. Lo sarà anche, ma non in modo esclusivo.
Sarà un museo all’aperto che recupera – finanziamenti permettendo – l’ex sistema museale dei primi anni Venti dove restano i frammenti dei cippi che portano inciso «Zona sacra». Come sul Grappa o nel gruppo della Creta di Timau, tra Pal Piccolo e Pal Grande. Un museo che sia tutt’uno con il parco archeologico al poggio San Valentino, con i ruderi della chiesetta (recuperato il disegno architettonico qualche anno fa), la casa del pellegrino mentre sono da far riemergere gli orti e le case degli eremiti.
Un «contenitore» non solo di vicende storiche, dal Medioevo (le prime notizie sull’eremo risalgono al 1548 quando un urbario camerale – l’odierno catasto – cita la presenza di una chiesetta) alla prima guerra mondiale (il Sabotino, la «corazzata di pietra» schierata dall’esercito austroungarico a difesa del campo trincerato di Gorizia, venne conquistato nell’agosto 1916 con la sesta battaglia dell’Isonzo) alla guerra fredda, quando il confine che correva in cresta era presidiato dai soldati della Divisione Mantova, poi da quelli del Torino (la prima casermetta era stata costruita su uno spiazzo più in alto ma venne spazzata dalle raffiche di bora). È solo dai primi anni Novanta che gli escursionisti italiani e sloveni si sono ripresi il Sabotino.
Un museo come sala mostre: non solo reperti, ma occasione di omaggio ad artisti. E, non ultimo, rassegne del ricco patrimonio naturalistico e ambientale (il monte si caratterizza per la sua doppia veste di essere sia carsico sia alpino). E poi, per riprendere un’osservazione del geologo Fulvio Iadarola, dalla vetta, da quota 609, si può leggere a 360° la storia dell’evoluzione del nostro territorio.
Linee-guida, queste, del futuro Museo del Sabotino che, in qualche modo, era già stato suggerito dalla mostra che il Crasg aveva allestito nell’ex casermetta l’11 agosto 2006 in occasione della prima cronoscalata ciclistica. Il titolo era «Ambiente e Medioevo sul monte Sabotino». In quell’iniziativa aveva collaborato, oltre al Goriski Muzeum di Nova Gorica, anche la sede di Udine dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofica sperimentale. Non solo guerra, dunque, ma anche ambiente: i conti ora cominciano a tornare. In ritardo rispetto ai progetti portati avanti sul territorio sloveno: non solo l’ex casermetta dei graniciari (era l’alloggio del custode della «Zona sacra» a cavallo tra le due guerre, e quel custode era il nonno di Mario Muto che è cresciuto a «pane e Sabotino») poco manca che festeggi i vent’anni della sua riconversione a struttura civile. Ma nello stesso 2006 lungo i sentieri in territorio sloveno fioriva la segnaletica per escursionisti e ciclisti mentre crescevano piramidi nei punti individuati come impregnati di memorie storiche: il Parco della pace iniziava il rodaggio.