di Maurizio Cerruti
Migliaia di esuli dalmati provenienti dall’Italia e dall’estero nel loro 56mo raduno nazionale si sono confrontati per una settimana a Trieste, riflettendo sulle prospettive di avere un pieno risarcimento materiale e morale per la grande ingiustizia patita nel secondo dopoguerra mondiale dagli italiani espulsi in massa dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia.
Prospettive che oggi sembrano più concrete del passato, sia per le iniziative legislative nel Parlamento italiano a loro favore, sia per il recentissimo via libera all’adesione della Croazia all’Unione europea, che abbattendo le frontiere interne, dovrebbe distruggere anche il vecchio muro dell’incomprensione e dei ciechi egoismi nazionali.
Da vent’anni è caduto il muro di Berlino. La Jugoslavia è "scoppiata" nel 1991, dopo 73 anni di esistenza. Da un lustro la Slovenia è nell’Unione europea, mentre la Croazia dovrebbe entrarvi nel 2011-2012. Malgrado tutti questi cambiamenti che hanno rivoluzionato lo scenario europeo, la questione degli esuli istriani, fiumani e dalmati è ancora lì: aperta, irrisolta, dolorosamente presente dalla fine del secondo conflitto mondiale, quando oltre 250mila italiani furono scacciati dalle loro case e da città e villaggi fondati e popolati dai tempi dell’impero romano, e costretti all’esilio solo perché appartenenti alla minoranza che aveva perso l’ultima guerra.
Oggi la chiamiamo pulizia etnica. A migliaia vennero assassinati e fatti sparire in fondo alle foibe. Vittime dell’odio politico ed etnico, di quello stesso tipo di "peste sociale" che negli anni ’90 ha colpito le ex repubbliche e province autonome jugoslave: Serbia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Kosovo.
E meno male che nel 2004 il Parlamento italiano ha istituito "Il giorno del ricordo degli esuli e delle foibe": così, almeno una volta all’anno – 10 febbraio – l’Italia delle istituzioni e quella dell’opinione pubblica si debbono confrontare con il triste retaggio, con un’eredità storica che sarebbe più comodo dimenticare che affrontare.
Ora però sembra che qualcosa si stia muovendo in senso positivo sul piano nazionale e internazionale.
Dieci giorni fa, l’11 settembre, la nuova prima ministra croata Jadranka Kosor e il premier sloveno Borut Pahor, a Lubiana, si sono messi d’accordo su come sbloccare una disputa di frontiera che si trascinava da 18 anni – appunto dall’indipendenza dei loro due Stati – riguardante l’accesso al mare della Slovenia nella baia di Salvore e Pirano, fra l’Istria e il golfo di Trieste.
Lubiana ha rinunciato a mettere il veto contro l’adesione di Zagabria all’Ue dopo che la premier croata ha dichiarato di accettare che la disputa frontaliera e l’adesione all’Ue vadano su binari separati. Sembra piccola cosa, ma in realtà è una grossa apertura rispetto all’ostinato no dell’ex premier Ivo Sanader che, a luglio, si è dimesso d’improvviso – cedendo il posto alla Kosor che è del suo stesso partito, l’Hdz – forse proprio per sbloccare il negoziato con la Slovenia, e di conseguenza l’adesione all’Ue, senza perdere la propria faccia.
Si spera – ma non è affatto scontato – che i nazionalisti che governano a Zagabria diano una bella prova di "spirito europeista" anche nei riguardi delle vittime italiane del comunismo di Tito, da loro stessi condannato e aborrito, avviando dove possibile la sacrosanta restituzione di terreni, case, boschi e proprietà nazionalizzate, confiscate ed occupate dal 1947 per volere dei "commissari del popolo".
Ma anche in Italia resta molto da fare, per rendere giustizia (seppure per molti di loro postuma) ai profughi che negli anni Quaranta furono accolti spesso malamente, addirittura tra gli insulti, e talvolta alloggiati in centri di raccolta in condizioni pietose. Una vergogna nazionale. Al Senato attendono da mesi di essere presi in esame i disegni di legge di Mario Pittoni (Lega Nord) e Giulio Camber (Pdl) per l’istituzione di un fondo indennizzi per i beni abbandonati nell’ex Jugoslavia dagli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, pari a 2,5 miliardi di euro in 5 anni attigendo da una quota dell’8 per mille. La maggioranza per approvarli c’è. E allora, cosa si aspetta?