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L’applauso di Gorizia a Norma

Un folto pubblico ha assistito, lo scorso sabato al Kulturni dom di Gorizia, allo spettacolo teatrale dedicato a Norma Cossetto dal titolo “Foibe rosse”, messo in scena dall’Accademia teatrale “Campogalliani” di Mantova.

La storia dedicata alla giovane polesana trucidata il 4 ottobre del 1943, qui adattata dal regista Aldo Signorotti, è tratta dal libro che lo storico Frediano Sessi ha dedicato al caso di Norma Cossetto. La ricostruzione di Sessi, docente di Storia all’Università di Mantova e presente in sala, si basa su pochi elementi certi della vita di Norma Cossetto, descritti con una tonalità particolare: a tratti parlano in presa diretta i testimoni, a volte l´autore come una voce narrante ricorda il contesto storico dell´epoca e interpreta i fatti, in altre parti ancora si immagina quel che la vittima deve aver provato, mentre il cerchio dei suoi aguzzini le si stringeva intorno. Così la crudezza degli avvenimenti si stempera almeno in parte nella “pietas”: non c´è solo storia ma anche partecipazione, rifiuto di qualsiasi distinguo ideologico di fronte alla brutalità della sopraffazione.

Tutto iniziò nella notte del 4 ottobre 1943, in una casa di italiani d’Istria, a Santa Domenica di Visinada. Margherita Cossetto, madre della vittima, nell’occasione ebbe un terribile incubo: una chiamata straziante che sembrava provenire dall’aldilà. Sognò che la figlia Norma, 23 anni, convocata per un interrogatorio e poi trattenuta in circostanze drammatiche da un gruppo di partigiani jugoslavi, invocasse disperatamente il suo aiuto. Margherita si alzò, inquieta, precipitandosi in camera dell´altra sua figlia, Licia. Ma, nel momento stesso in cui cercava di allontanare da sé un terribile presentimento, Margherita Cossetto intuì la verità: quando aveva sentito risuonare quella invocazione, la figlia era morta. Una fine atroce: torturata e violentata da una ventina di uomini, quindi trascinata sull´orlo della foiba di Villa Surani e gettata là dentro ancora viva.

L’attimo della premonizione materna, posto alla fine del racconto, segna forse il momento più intenso di “Foibe rosse”. La giovane, iscritta al quarto anno di Lettere e filosofia, all’Università di Padova, fu una vittima innocente della pulizia etnica e ideologica messa in atto dai partigiani comunisti titini. Una tragedia simile a molte altre, e come tante in seguito dimenticata dalla storiografia.

L’iniziava, promossa dalla locale Anvgd in collaborazione con la Lega nazionale, si è conclusa con un lunghissimo applauso.  

da www.arcipelagoadriatico.it

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