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L’istriano Fabio Maria Crivelli: un direttore record (Unione Sarda 26 ott)

«Sono arrivato in Sardegna il giorno di Capodanno del 1954. Ero stato chiamato a dirigere L'Unione Sarda: un mondo nuovo, un pianeta sconosciuto per me che venivo dal giornalismo romano. Ho subito deciso di appoggiarmi alle robuste esperienze interne: Franco Porru per l'organizzazione redazionale e i fratelli Fiori, Peppino per la politica e Vittorino per la cronaca. Erano persone di cui mi fidavo moltissimo e mi facevano da filtro. Non ho mai amato ricevere e parlare con i politici locali: l'ho fatto solo quando sono stato costretto. Con loro cominciai a costruire un nuovo grande giornale». Con queste parole Fabio Maria Crivelli, scomparso sabato all'età di 88 anni, ricordò il suo ingresso nella redazione di viale Regina Elena, in quell'edificio che ancora oggi ospita la sede del quotidiano più antico dell'Isola. L'Unione Sarda che Crivelli ha guidato per 25 anni, a due riprese. Dal 1954 al 31 dicembre 1976 e poi           dal marzo 1986 al 30 aprile 1988, quando venne richiamato alla direzione distogliendolo dal suo eremo di Sinnai che si era scelto come "buen retiro" per la pensione. Anche se mai, neppure per un giorno, si distaccò dal giornalismo e dai fatti del mondo che sempre ha seguito con grande attenzione continuando a collaborare al giornale, scrivendo puntualmente fondi e pezzi per le pagine della cultura. Ogni mattina, sino all'ultimo, non ha mai smesso le antiche abitudini di sfogliare la "mazzetta", cioè i principali quotidiani, di vedere la Tv che pure non l'appassionava, e di immergersi nelle letture dei suoi libri. Fabio Maria Crivelli è stato un giornalista a vita. Sin dagli esordi, nel primo dopoguerra.

Nato nel 1921 a Capodistria da una famiglia giuliana costretta ad emigrare in Italia, dopo l'università la guerra venne arruolato nell'esercito. Giovane sottotenente l'8 settembre si trovava in Sicilia quando fu posto di fronte all'estrema decisione di passare con Salò o di finire deportato. Crivelli scelse la via del lager e finì per due anni in Polonia. I ricordi della prigionia sono raccolti in un libro "Anni rubati" uscito nel 1988 e in tanti articoli sull'Unione. Rientrato a Roma nel 1945 cominciò a scrivere per il quotidiano L'Epoca. Cronista professionista passò a II Momento e quindi nel 1952 redattore capo al Giornale d'Italia.

Non aveva ancora 33 anni quando dalla Sardegna arrivò la proposta per dirigere il quotidiano di Cagliari che, superate le difficoltà del dopoguerra, puntava a diventare un quotidiano moderno e regionale. Così iniziò la sua esaltante avventura nella redazione di viale Regina Elena. Alla guida del giornale visse il ventennio del boom economico, del Piano di Rinascita, dei successi del Cagliari calcio e dei drammi dei sequestri. Sino alla rottura con il proprietario Nino Rovelli, il petroliere che negli anni Sessanta-Settanta era il "padrone" della Sardegna. In un'isola che affondava nella crisi non si sentiva di sostenere la linea politica impostagli dalla proprietà e così preferì dimettersi, ritirandosi a Sinnai.

Nel 1986, durante la trasformazione tecnologica del giornale, accettò di tornare alla direzione per quasi un bienno. Per lui, già anziano, fu un'esperienza affascinante, ma poi tornò serenamente alle letture e alla famiglia. Scrisse una commedia "Questi nostri figli" (nel 1951) e il dramma teatrale "I superstiti" (nel 1952). Sposato dal 1946 con Liliana, amata compagna per oltre sessantanni, è stato padre affettuoso di cinque figli e nonno di un nugolo di nipoti e pronipoti. Oggi alle 15,30 a Sinnai i funerali la chiesa di Santa Barbara, (c.f.)

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