Il 2 giugno 1946 segnò il ritorno della democrazia in Italia in maniera completa ed assoluta, con il diritto di voto universale senza distinzioni di censo e di sesso. Il Referendum istituzionale per la scelta tra monarchia e repubblica e le contestuali elezioni per l’Assemblea costituente rappresentarono l’atto fondativo del nuovo Stato italiano.
Era però ancora in corso la conferenza di pace e la situazione dei confini italiani non risultava definita, con particolare riferimento alla frontiera italo-jugoslava. La linea Morgan nel giugno 1945 aveva spartito la regione contesa in una Zona A (Trieste, Gorizia e Pola) sotto amministrazione militare anglo-americana ed una Zona B (Istria e Fiume) sotto amministrazione militare jugoslava, mentre Zara era ormai de facto annessa alla nascente Jugoslavia comunista, essendo stata occupata già nel novembre 1944. Tuttavia dal punto di vista del diritto, finchè un nuovo Trattato internazionalmente riconosciuto non avesse definito il nuovo confine, la sovranità italiana restava intatta su quelle province che facevano parte del Regno d’Italia al momento dell’entrata in guerra quel fatale 10 giugno 1940. Era compito delle potenze che esercitavano l’amministrazione militare garantire il corretto svolgimento delle votazioni, ma già l’anno prima nella Zona B le autorità titine avevano spadroneggiato in occasione delle elezioni amministrative, impedendo la formazione di liste antagoniste rispetto al Partito comunista e costringendo poi la gente a recarsi alle urne laddove la comunità italiana intendeva manifestare il proprio dissenso disertando l’appuntamento elettorale. Dati questi presupposti e per non creare ulteriori questioni a livello internazionale, i cittadini italiani della XII Circoscrizione (Venezia Giulia, Fiume e Zara) non poterono votare: già il precedente 5 marzo nel suo celebre discorso a Fulton Winston Churchill aveva denunciato che l’Europa era attraversata da una cortina di ferro “da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico”. Un decreto luogotenenziale inviava perciò sine die il voto in tale circoscrizione e questa situazione rendeva inattuabile pure un plebiscito in cui si potesse esercitare il principio di autodeterminazione dei popoli.
Dopo l’8 settembre 1943, in cui le province del confine orientale italiano furono travolte dalla prima ondata di stragi nelle foibe causa il collasso politico, militare ed istituzionale dell’Italia, e dopo il 25 aprile 1945, che fu Liberazione per il resto d’Italia e vigilia di una nuova sanguinosa occupazione per l’italianità adriatica, anche il 2 giugno divenne una data che a Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara assume ben altro significato rispetto al resto d’Italia. Si approfondì così un distacco che il Trattato di Pace del 10 Febbraio 1947 definirà sulle carte geografiche e che il Memorandum di Londra del 1954 parzialmente attenuerà, per poi giungere alla fine di ogni residua speranza dir riconoscere la sovranità italiana sulla ex Zona B del Territorio Libero di Trieste con il Trattato di Osimo del 1975.
L’istituzione del Giorno del Ricordo e la crescente attenzione che le istituzioni e l’opinione pubblica dedicano a tale ricorrenza stanno reintegrando le pagine più tragiche del Novecento al confine orientale italiano nella storia nazionale, ma bisogna essere consapevoli che la propria scelta per l’Italia gli istriani, fiumani e dalmati non l’hanno potuta svolgere nelle urne, bensì esercitando le opzioni ed esodando.
Lorenzo Salimbeni