di PIETRO SPIRITO
TRIESTE La storia della famiglia Hausbrandt è un riassunto di storia della città. C’è un po’ di tutto: dalla variegata, molteplice realtà di un vasto impero – in cui Trieste era uno dei centri vitali – ai grandi traffici commerciali, dalla città depressa e affamata, a ridosso di un fronte di guerra vicinissimo, alla ripresa degli anni Venti fino al dramma del secondo conflitto vissuto da uno dei suoi esponenti, Robert, molto vicino – nelle sue vesti di interprete dell’Esercito italiano – agli alti comandi nazisti. Rappresentanti in origine dell’anima germanica della città – quella di cui non è rimasta quasi più traccia – gli Hausbrandt hanno attraversato il secolo breve portandosi dietro una memoria che è un condensato di ”triestinità”.
«È vero, il nostro album di famiglia sembra un bignami di storia del Novecento», dice Roberto Hausbrandt nel suo appartamento al settimo piano di via Donota 1, dalle cui finestre si domina tutta Trieste. «E dell’Europa centrale: la famiglia è originaria di Amburgo, ma le sue vicende coprono mezzo continente, compresa la Dalmazia», aggiunge la moglie di Roberto, Versenia Anmahian, di origini armene.
In realtà tutto comincia a Danzica, dove il 12 febbraio 1863 al numero 8 della Sand Grube, sul Kaninchenberg, nasce Hermann Hausbrandt, figlio di Carl Friedrich Hermann, capo macchinista del Lloyd Austriaco di Trieste che lavora ai cantieri Vulkan. Ad Amburgo vive invece il nonno di Hermann, rilegatore di libri e poeta dilettante, che in gioventù aveva percorso a piedi buona parte dei territori di Germania, Austria e Svizzera, stando ai diari di viaggio da lui lasciati. Per inciso, quella di viaggiare, scrivere autobiografie e chiamare i figli maschi con lo stesso nome del padre è una consuetudine della famiglia Hausbrandt che si tramanda da circa duecento anni fino ai nostri giorni.
Il piccolo Hermann arriva a Trieste assieme alla madre, una ragazza inglese originaria di Hull, all’età di sette mesi, quando suo padre viene spedito sui piroscafi del Lloyd come macchinista collaudatore. Per la famiglia è un piccolo trauma. Scriverà Hermann Hausbrandt nelle sue memorie: «Il mio arrivo nella città di Trieste – papà contro ogni aspettativa non era ancora arrivato – avvenne durante una furiosa tempesta di Bora. La mamma, nella città sconosciuta dove dapprincipio nessuno sembrava capire una parola di tedesco, ne riportò una tremenda impressione, non conoscendo e non essendo avvezza a simili bufere che per un triestino sono normali (…) La povera donna non chiuse occhio, spaventatissima e frastornata, sola soletta nel suo appartamento con il suo marmocchio».
Ma la famiglia si ambienta presto, Hermann studia alla scuola evangelica, cresce e diventa un giovanotto alto, bello, intraprendente. Nel 1878 entra come apprendista nella ditta di Rudolf Wohlfart, «un’azienda – ricorderà – che nel suo sviluppo e flessibilità poteva esistere solo in un centro commerciale come Trieste con le quasi illimitate possibilità che questa città offriva».
Nel 1881 Hermann parte come volontario nel reggimento ungherese ”Arciduca Albrecht n.44”, in cui militano tedeschi, italiani, sloveni e croati. Sotto le armi si diverte come un matto e termina il servizio con il grado di Imperial Regio Tenente della Riserva, la cui uniforme gli servirà in seguito per assistere ai balli di corte a Vienna e far colpo sulle ragazze.
Lasciata la capitale austriaca, Hermann inizia un pellegrinaggio inquieto che lo porterà in giro per l’Europa, fino in Dalmazia. Sono tempi in cui si viaggia a piedi, in carrozza, a cavallo, e basta poco per imboccare la strada sbagliata. Ma Hermann non sbaglia. Sposa una ragazza molto più giovane di lui, dalla quale avrà cinque figli: Hermann jr., Grete, Rose, Fritz e Robert. Forte delle esperienze fatte, Hermann fonda la ditta ”H. Hausbrandt” a Trieste il 15 novembre 1892. La sede è in via Machiavelli 6, «un modesto magazzino nel quale – ricorderà – montai come ufficio un piccolo sgabuzzino di vetro come usavano fare a Trieste anche le ditte più grandi». Commercia in bottiglie e cesti, anche in cemento, poi allarga l’import-export a vetrerie da tavola, vetri retinati, mattoni di vetro, amido di riso, manichette di gomma e di canapa, prodotti bituminosi, tè, e infine il prodotto che gli darà la fama, il caffè. La sua idea è di vendere i chicchi già tostati, come ha visto fare in Germania. Così Hermann mette su una torrefazione in un magazzino di via SS. Martiri, ma le cose vanno subito male. Alle massaie triestine quel prodotto non va proprio giù. «No posso miga butar via el mio brustolin», dicono, mentre i negozianti sono altrettanto guardinghi: «Come si può giudicare la merce, se non si vede il caffè verde», dicono. Ma Hermann non molla, e anzi rilancia. Apre un negozio, poi un altro. Viaggia a Vienna, Budapest, Lubecca, Amburgo, Colonia, Heilbronn, Monaco cercando di scoprire perché là il tostato funziona. Capisce che, forse, è una questione di pubblicità. Ingaggia moglie e amiche perché, fuori dal negozio, facciano finta di essere massaie soddisfatte del caffà ”brustolà”. Apre un negozio più grande in pieno centro, in Ponterosso, e stavolta i triestini rispondono. Prima per curiosità, poi perché convinti dal prodotto. È il 1905. Quattro anni più tardi Hermann Hausbrandt tenterà lo sbarco ad Amburgo, ma gli andrà male. Allo scoppio della guerra Hermann è sulla lista nera degli irredenti, è sicuro che se il nemico – gli italiani – vincerà lui sarà arrestato. Non andrà così, e anzi il dopoguerra segnerà una ripresa nei commerci, anche se il mondo è cambiato. «Il nonno – racconta oggi Roberto Husbrandt – ebbe l’intuizione di abbinare macchine e caffè tostato, scommettendo sulle prime macchine per l’espresso, e sarà la sua fortuna». Hermann morirà a 80 anni senza vedere la fne del secondo conflitto mondiale.
Intanto la ditta è passata nelle mani del primogenito Ermanno, del genero Federico Dietrich e del figlio Roberto. I due fratelli mandano avanti l’azienda nonostante la guerra, e nonostante Robert debba partire per il fronte. Ufficiale di complemento, combatterà in Grecia prima di diventare addetto all’Ufficio sgereteria di Stato maggiore del Comando supremo, a palazzo Vidoni a Roma, con compiti di traduttore, interprete, accompagnatore, organizzatore, mediatore. Conoscerà bene Rommel, Göring, von Stauffenberg – l’uomo che attenterà alla vita di Hitler – e, naturalmente, Mussolini. «Ho vissuto per anni – scriverà nel suo libro ”Comando Supremo 1941-1943. Appunti di un testimone” – sotto il vincolo del ”segretissimo” i momenti di entusiasmo per l’Asse e dell’inesorabile distacco da esso».
La tenuta di campagna di Viscone, in provincia di Udine, amatissima da Roberto Hausbrandt e da sua moglie Lylla, diventa il rifugio della famiglia durante gli ultimi scampoli di guerra. Alla fine del conflitto i fratelli Hausbrandt riprendono a pieno ritmo il lavoro della torrefazione. Robert è amico e socio di Ernesto Illy, e i due marchi cammineranno insieme, spartendosi fette di mercato: Hausbrandt nel Triveneto, Illy nel resto d’Italia.
Negli anni successivi i figli di Ermanno jr. e di Roberto, i cugini Ermanno e Roberto, prenderanno in mano le redini dell’azienda, destinata però a scindersi. Verso la fine degli anni Ottanta il marchio passa nelle mani di Martino Zanetti, e oggi la Hausbrandt ha sede a Nervesa della Battaglia in provincia di Treviso. Roberto Hausbrandt è invece titolare della Caffè Adler di Trento.