In uno degli appuntamenti precedenti, riguardante il Mercato coperto in Belvedere, abbiamo raccontato della figura e delle opere dell’architetto di Volosca Enea Perugini, attivo a Fiume tra le due guerre, quando l’aspetto degli edifici pubblici dipendeva dalla loro funzione e dalle intenzioni del committente. Tutto il suo opus fiumano può essere collocato nel breve arco temporale di dieci anni: inizia a essere attivo nel 1930, quando elabora il primo progetto autonomo per un nuovo edificio (villino Castelick, nel rione di Plasse – Scurigne, oggi Podmurvice, Via Rudolf Tomšić) e si conclude nel 1940, con l’ideazione e la costruzione della sua casa familiare a Volosca. In tale contesto, nel saggio “Enea Perugini, Giulio Duimich e Yvone Clerici nell’architettura a Fiume tra le due guerre” (pubblicato nella rivista Quaderni, volume XXVI), Jasna Rotim Malvić spiega che, sin dagli inizi, le sue realizzazioni rientranti nell’ambito dell’architettura pubblica si sono sviluppate del tutto diversamente da quelle abitative, nelle quali possiamo seguire un percorso evolutivo dai semplici volumi chiusi a quelli completamente frazionati, nello spirito dell’architettura moderna.
Le architetture pubbliche
Come accennato, nel succitato periodo, l’aspetto formale nell’architettura pubblica non era definito soltanto dalla funzione dell’edificio: trattandosi del fascismo, un regime politico totalitario, l’ultima parola spettava al commissionario, cioè allo Stato, tramite qualcuna delle sue istituzioni, con le sue specifiche richieste. A detta dell’autrice, in Italia le Case del fascio e i Circoli rionali erano costruiti nel riconoscibile “stile littorio”, le cui caratteristiche principali erano la monumentalità, le linee della storica architettura tradizionale italiana (circolavano cataloghi con schizzi e modelli tipizzati che dovevano servire da esempio) e il simbolo obbligatorio del movimento, il fascio littorio, che era collocato nella parte maggiormente risaltante. Perugini ha sempre cercato di rendere le sue opere affini all’ambiente, evitando, nei limiti del possibile, la suddetta imponenza e l’architettura storica e accettando le idee del razionalismo nel modo in cui il MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale) le aveva rese pubbliche nel 1931: “La nuova architettura è in grado di esprimere gli ideali rivoluzionari del fascismo”. In tale senso, il primo incarico importante per Perugini è stato il già menzionato e raccontato Mercato coperto in Belvedere, seguito dalla Casa del fascio a Villa del Nevoso (Ilirska Bistrica, in Slovenia), dalla clinica psichiatrica all’interno dell’ospedale Santo Spirito (reparto maschile), oggi Centro clinico ospedaliero – l’unico edificio sanitario da lui progettato, dal Circolo rionale Borgomarina, dal Circolo a Cosala e dalla Casa del lavoratore, sita in Riva Thaon de Revel, nella zona del porto franco accanto alla caserma della Polizia marittima, la quale fu probabilmente distrutta durante i bombardamenti su Fiume.
Il Circolo rionale Borgomarina
A Borgomarina (oggi Cantrida), rione occidentale di Fiume che comprendeva il territorio tra i cantieri navali e la zona residenziale delle ville di Costabella, fu costruito il Circolo rionale Borgomarina (oggi sede della Comunità di quartiere di Cantrida, ubicata in via Laurana). L’edificio, non tanto grande, sebbene dal volume frazionato, dà un’impressione di grande compattezza, grazie soprattutto alle sue dimensioni e al modo nel quale è stato concepito. Sorge sulle scoscese falde di una collina, circondato da piccole case a pianoterra e a un piano, tra le quali si è inserito molto bene. La palazzina è formata da alcuni parallelepipedi di grandezza e altezza diversa, uniti da un semicilindro. Lo schema appare molto semplice mentre, a detta di Rotim Malvić, i locali interni si susseguono l’uno accanto all’altro. Tutta la composizione è dominata dalla torre in rilievo sul prospetto dell’edificio, al cui pianoterra è situato l’atrio, mentre gli uffici si trovano al piano superiore. Perugini usava molto spesso la scalinata come elemento importante nel creare l’impressione visiva d’insieme e questa non è da meno: è larga e, intersecandosi ad angolo retto con la strada, porta all’entrata. Davanti all’ingresso semicircolare nell’edificio, però, il progetto prevedeva la costruzione di una doppia gradinata molto ampia, la quale, a mo’ di anello, avrebbe abbracciato tutti gli ambienti in un unico insieme.
Nel sunnominato scritto si legge che, probabilmente, non è stata realizzata per intero a causa dello spazio limitato, cosicché è andata in parte perduta la drammaticità. In questo scenario calcolato, oltre alla scalinata, è importante anche il ruolo della torre all’ingresso: la vetrata al pianoterra, le due generose finestre al primo piano e la larga circonferenza del balcone che cinge e divide verticalmente il corpo della stessa evidenziano la carica drammatica con il simbolo stilizzato del fascismo, che come un timone esce dal balcone e si radica saldamente alla base delle scale.
L’abbondanza di chiarore, spiega ancora l’autrice, non entra nella palazzina soltanto attraverso la vetrata dell’atrio, bensì la sala sita nel parallelepipedo inferiore è illuminata da tre grandi finestre collegate, mentre il passaggio della luce è consentito anche dalle porte in vetro, poste su tutte le entrate. I simboli molto stilizzati dell’ideologia di regime si osservano anche sul pavimento dell’androne: tre strisce, di cui quella centrale è molto più larga, conducono fino al piedistallo sul quale si trovava il busto di Mussolini, un ritratto dalle linee esageratamente marcate realizzato dal noto pittore Romolo Venucci e, sulla parete dietro allo stesso, se ne trovava un altro in bassorilievo. Perugini incluse nei lavori anche i migliori artisti, artigiani e decoratori fiumani: l’impresa Mareschi per quelli in muratura, la Stanflin per i mobili, la Dorchich per le verniciature, il noto pittore fiumano Ladislao de Gauss per la tinteggiatura del muro più grande e rappresentativo della sala e molti altri. In quanto si trattava del Circolo, che in ogni rione era anche una specie di casa sociale (sebbene il suo ruolo principale fosse quello di propagare lo spirito dell’ideologia fascista dominante), tutto doveva essere della massima qualità. Dopo la guerra, la palazzina è diventata, con alcune piccole modifiche (è stato tolto il busto di Mussolini e riverniciato l’affresco di de Gauss), prima sede della Comunità locale di Cantrida e, in seguito, di quella di quartiere.
Melita Sciucca
Fonte: La Voce del Popolo – 30/07/2023