Ironia, riflessioni e buonumore: la poesia in dialetto triestino di Roberto Pagan ha allietato la serata che ha concluso le iniziative 2023 presso la Casa del Ricordo di Roma. Si è trattato di un evento organizzato dalla Società di Studi Fiumani, dal Comitato provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (le sigle incaricate da Roma Capitale di gestire la Casa del Ricordo appunto) e dall’Associazione Triestini e Goriziani in Roma.
È stato Marino Micich (Segretario generale della SSF) a fare gli onori di casa introducendo la presentazione della raccolta di poesie in dialetto triestino Chissà se ancora (Edizioni Cofine, Roma 2023) di Roberto Pagan, poeta che con quel morbin tipicamente triestino ha raccontato la storia della sua vita andata in parallelo con gli eventi di quasi un secolo. Il Presidente dei Triestini e Goriziani a Roma, Carlo Leopaldi, presentando Pagan, attualmente residente nella capitale, ha ricordato che nel capoluogo giuliano ha in precedenza affinato la sua capacità poetica frequentando il salotto letterario di Anita Pittoni. Quella dei salotti letterari è una tradizione triestina che pure Bobi Bazlen ha portato avanti, come ha ricordato Donatella Schürzel, Presidente dell’ANVGD Roma, la quale ha peraltro evidenziato che la lettura di queste poesie suscita un sorriso ironico ed invita a riflessioni più acute.
L’editore Vincenzo Luciani ha collocato la sua proficua collaborazione con Pagan nel solco del suo impegno per la salvaguardia dei dialetti: nel panorama serioso della letteratura italiana si è detto lieto di pubblicare le opere di un maestro dell’ironia e dell’autoironia, la cui precedente silloge Alighe ha peraltro conseguito il Premio Ischitella.
Assolutamente concorde il critico letterario Maurizio Rossi, il quale ha segnalato che la raccolta Chissà se ancora è la dimostrazione che l’anima triestina è capace di grande ironia anche attraverso poesie semplici e di facile lettura, in un panorama letterario in cui diventa sempre più difficile farsi capire.
Dando la parola a Pagan per la lettura di alcune poesie, Micich ha avvisato il pubblico che la caratteristica delle liriche del poeta triestino è proprio quella di saper trovare il lato ironico nelle avversità della vita.
Ecco quindi che i ricordi dell’infanzia da sfollato a Manzano vicino a Udine durante la Seconda guerra mondiale assumono i toni di un’allegra scampagnata in cui ogni tanto si affacciano bombardieri diretti verso altre destinazioni, soldati tedeschi e partigiani che una Contessa friulana sa tenere a bada con abile diplomazia. Per il ragazzo di città che era all’epoca l’autore, si è trattato della scoperta della campagna e degli animali, guidato in questo percorso da una ragazzina. Ricordi che poi arrivano al dopoguerra, allorché visse non lontano dagli alloggi dei profughi giuliano-dalmati tra Duino e Sistiana in provincia di Trieste. Riflessioni sulla grande storia che è passata presso il capoluogo giuliano ad esempio al Castel delle strighe, cioè lo splendido castello di Miramare che ha fatto da sfondo alla tragica vicenda di Massimiliano d’Asburgo e di sua moglie Carlotta. Sguardi sulla contemporaneità rappresentata ad esempio dal Sessantotto e dai suoi sconvolgimenti sociali che si fanno sentire perfino in una realtà periferica come Udine ove ha per un periodo vissuto. E infine gli anni romani, con uno sguardo affascinato e incantato che si aggira per le vie dell’urbe nella poesia Roma xè Roma. Uno spaccato di storia italiana, insomma, che dopo un sorriso iniziale ha lasciato comunque spunti di riflessione nel pubblico.
Lorenzo Salimbeni