Mi ha sempre colpito, per il suo altissimo significato morale il ritornello di Paolo Pola, ricompreso nella parte finale dell’atto 1° dell’opera di Saverio Mercadante “Caritea, Regina di Spagna”, il quale cita: “Chi per la Patria muor vissuto è assai; la fronda dell’allor non langue mai”.
Si tratta, come è facile intuire, di una frase davvero straziante ma che, più di altre, ci aiuta a comprendere come sia sublime il volersi sacrificare per il proprio Paese, sia in pace che in guerra, e soprattutto quando sono messi in discussione lo stesso sentimento dell’italianità e l’orgoglio di sentirsi italiani.
La frase del Pola è totalmente calzante con l’epilogo della vita di Mariano Bongiorno, una Fiamma Gialla in congedo, il quale fu barbaramente e vigliaccamente assassinato nei pressi di Trieste il 1° settembre del 1946, fatalmente nello stesso giorno nel quale si apprestava a festeggiare con la famiglia il suo 46° anno di vita.
E ciò per il solo fatto di sentirsi fortemente legato all’Italia e alla sua gente. Mariano Bongiorno, che sino al settembre del 1943 era stato in servizio nella Guardia di Finanza con il grado di Sotto Brigadiere aveva operato una scelta, drastica e nello stesso tempo coraggiosa: quella di non voler servire né sotto l’occupante tedesco, né tanto meno sotto la nascente Repubblica Sociale Italiana.
Per tale ragione la sua condotta era adamantina, non essendosi compromesso il alcun modo sotto l’occupante teutonico, come potrebbe asserire qualche storico di parte slava, che in qualche modo volesse giustificare il suo omicidio.
Per mantenere la famiglia, Mariano Bongiorno avrebbe, infatti, svolto un’altra attività lavorativa, da onesto e brav’uomo quale egli era sempre stato.
Di conseguenza era tornato a far parte del popolo, di quel mondo operaio dal quale erano emerse tante belle figure di partigiani combattenti, ma anche di onesti cittadini che con il proprio lavoro cercavano di mandare avanti sia il Paese che le proprie famiglie.
Ma ciò non bastò e, quando dopo la fine della 2^ Guerra mondiale il comunismo sloveno decise di “fare i conti” con gli italiani che erano rimasti a vivere lungo il cosiddetto “Confine orientale”, Mariano Bongiorno sarebbe stata una delle tante vittime che l’odio etnico, già saggiato per mano slava dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 (chi non ricorda le foibe?), avrebbe causato in quei tristi momenti per Trieste e per la sua provincia, rimasta nel limbo della storia, divisa sino al 1954 fra Alleati e Titini.
Mariano Bongiorno non fu un eroe come lo intende la letteratura storica, ma sicuramente il suo coraggio, fu davvero leonino, soprattutto se pensiamo che il suo profondo amore per l’Italia lo avrebbe trascinato nel baratro di un’assurda vendetta.
Ho voluto fortemente ricordare la figura di questo grande patriota, di questo grande italiano, di questo risoluto e coraggioso siciliano, nella speranza che qualche giovane lettore possa comprendere fino in fondo quale sia stato il dramma vissuto dalla Comunità italiana a Trieste e lungo il Confine Orientale, tra il 1943 e il 1954.
Non solo, ma con questa ricostruzione biografica (per la quale ringrazio infinitamente l’amico Dottor Federico Sancimino, noto storico triestino) desidero rispondere con fatti evidenti a tutti coloro, tra presunti storici o semplici opinionisti, che, ancora oggi, in maniera subdola e vigliacca offendono il ricordo delle migliaia di vittime innocenti che per mano slava pagarono col sangue la vendetta contro l’occupazione italiana della Jugoslavia – per carità non priva anch’essa di crimini – ma che certamente non avrebbe dovuto giustificare in alcun modo un simile agire contro una popolazione inerme e, soprattutto, vessata da un lungo periodo di guerra e di occupazione nemica.
DA GIARRE A TRIESTE, LA VITA DI UN UOMO CON LE FIAMME GIALLE CUCITE SULLA PELLE
Mariano Bongiorno nacque a Giarre, in provincia di Catania, il 1° settembre del 1900, a pochi mesi dal Regicidio di Monza, ma anche all’inizio del secolo più brutto che il mondo avrebbe vissuto.
Figlio di Giuseppe e di Teresa Lizzio, Mariano frequentò le Scuole Elementari sino al conseguimento del diploma di 3^ classe, per poi intraprendere il mestiere di muratore, che avrebbe esercitato sino al 14 aprile del 1918, allorquando – non ancora diciottenne – dovette raggiungere il fronte di guerra, essendo stato mobilitato nei ranghi del glorioso 15° Reggimento Fanteria della Brigata “Savona”, allora impegnato in aspri combattimenti in Albania.
Terminata la “Grande Guerra”, Mariano Bongiorno fece ritorno in Patria, rimanendo alle armi sino al 14 marzo del 1919, data nella quale fu inviato in congedo.
In Albania, durante la guerra, Mariano aveva operato a fianco dei Battaglioni Mobilitati della Regia Guardia di Finanza, rimanendo particolarmente colpito dal valore di quegli uomini silenziosi e, purtroppo, poco amati in Italia.
S’innamorò talmente delle Fiamme Gialle, tanto che al rientro a Giarre decise di presentare domanda di arruolamento volontario in quel Corpo.
Superate brillantemente le prove d’ammissione, il giovane ex Fante fu ammesso a frequentare il corso di formazione di “Allievo Guardia”, il quale ebbe inizio presso il Battaglione di Verona il 14 novembre dello stesso 1919.
Promosso a tale grado il 1° febbraio del 1920, Mariano fu destinato alla Legione territoriale di Milano, assegnato alla Brigata di Cavargna, dipendente dalla Compagnia di Porlezza, operante quindi lungo la frontiera con la Svizzera.
Da quel momento in avanti il confine sarà per lui l’ambiente operativo ove più a lungo presterà servizio, subendo – come era allora previsto dai Regolamenti del Corpo – una miriade di trasferimenti, che lo avrebbero visto operare presso le Legioni territoriali di Venezia, Udine e Trieste, peraltro senza mai vedersi riconoscere la possibilità di un trasferimento più a Sud.
Ottimo militare, frequentatore con successo di non pochi corsi di specializzazione e di aggiornamento professionale, Mariano Bongiorno fu promosso giovanissimo al grado di Appuntato (il 14 giugno 1924), mentre si trovava in servizio presso la Brigata di frontiera di Paluzza (Udine).
In seguito opererà anche nei territori annessi dopo la Prima Guerra mondiale ovvero in talune Brigate dipendenti dalle Compagnie di Idria e Volosca.
Il 2 marzo 1935, mentre si trovava a prestare servizio presso la Brigata “mista” di San Saba, a Trieste, Mariano s’unì in matrimonio con una sua conterranea, Orazia Patanè, classe 1904, dalla quale avrà in seguito quattro figli.
L’Appuntato Bongiorno rimase a vivere a Trieste anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia, operando presso le Brigate di Aquilinia (Muggia), ove fu impegnato, probabilmente, nel servizio di vigilanza allo locale raffineria “Aquila”, quindi presso le Brigate di Zaule e, infine, nuovamente a quella di San Sabba, ove fu destinato il 23 luglio del fatidico 1943, mobilitato per la vigilanza costiera per fini militari.
Alla proclamazione dell’armistizio, cui fece seguito l’occupazione tedesca di Trieste e di tutto il Confine Orientale, Il Sotto Brigadiere Bongiorno (era stato promosso a tale grado il 1° marzo 1943), piuttosto che servire sotto i nazisti o comunque darsi alla macchia, preferì congedarsi a malincuore dalla Regia Guardia di Finanza, a decorrere dal 27 settembre, rimanendo così a vivere con la famiglia in Via di Zaule, oggi rione di Aquilinia, a sua volta frazione di Muggia, ma che a quei tempi faceva parte del Comune di San Dorligo della Valle.
É molto verosimile ritenere che il Bongiorno abbia aderito al locale Comitato di Liberazione Nazionale, pur non entrando a far parte ufficialmente di Bande patriottiche combattenti sul territorio.
L’ASSURDA VENDETTA
Mariano Bongiorno e la sua famigliola (moglie e quattro figli maschi) vissero ad Aquilinia sino alla Liberazione di Trieste e anche dopo di questa (2 maggio 1945), godendo della pensione dello Stato ma anche dei proventi di alcune modeste attività commerciali nelle quali l’uomo si cimentava di volta in volta, così come del mestiere sporadico di operaio.
Nel giugno del 1946, a pochi giorni dal Referendum Istituzionale che vide la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, ebbe inizio per il povero Bongiorno un vero e proprio calvario, dovendo pagare lo scotto di aver amato così tanto il proprio Paese: l’Italia.
E fu così che la sera del 20 giugno del 1946, mentre la famigliola era raccolta in cucina, una bomba a mano lanciata dalla finestra da parte di uno sconosciuto, per un pelo non diede luogo ad una strage.
I terroristi slavi non si persero, tuttavia, d’animo, tanto che il 25 agosto ebbero a ripetere la “prode missione”, anche questa volta, per fortuna, non coronata da successo.
Ciò nonostante il povero Sottufficiale in congedo non pensò minimamente di abbandonare le classiche “casa e bottega” onde tutelare sé stesso e, soprattutto, la famiglia.
Certo di non aver mai fatto male a nessuno, egli sperò sino alla fine nella ragionevolezza e nel rinsavimento di quelle persone.
Purtroppo non fu così, in quanto la mattina del 1° settembre 1946, come dicevamo prima, compleanno del povero Mariano, un giovane del posto, dall’apparente età di una ventina d’anni, bussò stranamente al portone di Casa Bongiorno, al civico 234 di Strada di Zaule, chiedendo banalmente che ora fosse.
Dopo di ciò, fu la stessa signora Orazia che s’accorse che l’uomo iniziò a pedinare il marito, il quale, dopo aver risposto alla domanda s’era avventurato in paese per portare ad aggiustare la bicicletta da un amico meccanico.
Nessuno di loro pensò assolutamente a quanto sarebbe accaduto di lì a poco.
Tornato a casa, Mariano Bongiorno rimase in attesa del pranzo, sostando nei pressi dello stesso uscio d’ingresso, godendosi con i suoi quattro figli quella bella giornata di sole.
Ma il destino doveva raggiungere purtroppo il suo fatal corso. Ecco dunque che verso le ore 13, quello stesso giovane incontrato per caso la mattina, tornò per compiere il misfatto.
Il terrorista slavo scaricò ben quattro colpi di pistola sul povero militare in congedo delle Fiamme Gialle, ferendolo gravemente al fianco destro, al basso ventre e alla coscia destra.
Soccorso immediatamente dalla moglie, Mariano s’accasciò al suolo, perdendo così molto sangue e gli stessi sensi.
Fu così che la signora Orazia corse presso il vicino Presidio Militare Alleato di San Saba, chiedendo aiuto.
Un’autoambulanza Americana lo trasportò all’Ospedale Maggiore di Trieste, ove purtroppo il povero padre di famiglia si sarebbe spento verso le ore 18.
I funerali dell’ennesima vittima dell’odio razziale si tennero a Trieste nel pomeriggio del giorno seguente, e videro la partecipazione di molta gente comune, compresi tanti colleghi che lo avevano conosciuto.
L’assurda morte del Bongiorno non sfuggì alla grande famiglia delle Fiamme Gialle, il cui giornale ne avrebbe dato la notizia nei giorni seguenti.
Fu lo stesso giorno dell’agguato che la signora Orazia fu interrogata dalla Polizia Civile di Trieste, alla quale fornì tutti i dati possibili per identificare l’omicida, il quale purtroppo non fu mai rintracciato e, quindi, catturato, molto probabilmente per via del fatto che non era un triestino, ovvero persona già nota alle Forze di Polizia con tanto di scheda segnaletica.
Il barbaro omicidio di Mariano Bongiorno, avvenuto sotto gli occhi atterriti dei suoi figli, rimase quindi impunito, almeno riguardo alla Giustizia dei vivi.
Varie sono state le spiegazioni date a tale misfatto, anche se la più accreditata vuole che il motivo principale sia stato il rifiuto di apporre la propria firma sulla “Petizione popolare che chiedeva l’annessione alla Jugoslavia”, come ricorda Teodoro Francesconi, riprendendo evidentemente una notizia riportata in un noto testo del 1953 a firma di Diego De Castro.
Ancora una volta, sin da quei tristi giorni del settembre ‘43, quando i Titini inaugurarono la triste stagione delle foibe, l’odio anti-italiano avrebbe procurato immenso dolore a gente che, come Bongiorno, non aveva alcuna colpa, se non quella di aver amato l’Italia.
L’omicidio di Mariano si verificava a circa un anno e mezzo da quello di un altro povero sventurato, Angelo Donvito, originario di Barletta, ove era nato il 16 novembre 1900 (quindi coetaneo del nostro protagonista), guardiano presso il noto “Stabilimento Aquila”, ucciso da forze partigiane titine sempre a Zaule il 30 aprile del ‘45.
Gerardo Severino
Colonnello (Aus) della Guardia di Finanza – Storico Militare
Fonte: Report Difesa – 10/02/2023