Lo scrittore Boris Pahor rifiuta la civica benemerenza del Comune perché il testo della motivazione cita solo le sofferenze patite dal novantaseienne scrittore nei lager, a causa del nazismo, e non menziona il fascismo «che mi ha tolto – ha detto risentito – lingua e scuola per tutta la gioventù». Il caso rimbalza sulla stampa nazionale, Pahor è tardivamente ma finalmente riconosciuto anche in Italia e non solo all’estero come grande scrittore e grande testimone. Il sindaco Dipiazza si risente, dice che «a caval donato non si guarda in bocca», che i benemeriti «non possono anche dettare i testi delle benemerenze», e che «fascismo, nazismo, crimini di Pol Pot e tutte le altre tragedie vanno lasciate agli storici». Ma gli storici stanno senza dubbio dalla parte di Pahor.
«È vero – dice Roberto Spazzali -, Pahor è stato perseguitato due volte, prima di tutto sotto il fascismo ebbe una persecuzione nazionale, in quanto sloveno, e sarebbe necessario che la città riconoscesse questi torti, proprio per favorire la conciliazione di cui parla. Poi subì la persecuzione nazista perché non aderì all’occupazione tedesca, molti (italiani e sloveni) seppero dire quel ”no” superlativo: quest’uomo – prosegue Spazzali – è il testimone di tutto un Novecento, la città non gli ricorda però tutto il suo Novecento, perciò è inutile mettere targhe e monumenti nuovi se non si rispettano in primo luogo i monumenti umani.
«Inoltre – aggiunge – sarebbe un gesto importante semplicemente per ristabilire la verità, è logico che poi sono fatti che appartengono a un passato remoto, e da cui si deve prendere le distanze. Ma io non capisco come il sindaco proprio di recente abbia detto “in Risiera vado tranquillo, a viso aperto, nonostante una gaffe che tutti hanno capito essere stata un lapsus innocente”, se poi ci sono soggetti politici che ancora lo tirano per la giacchetta, e lui si lascia tirare. Ha senso allora che vada a cerimonie in Risiera? Io dico di no. Il secolo scorso va ricordato per com’era, non è stato solo il secolo di Italo Svevo, che poi anche il busto di Italo Svevo fu buttato giù dai fascisti, se è per quello…».
«La destra triestina, almeno in alcuni suoi settori ancora influenti – afferma Stelio Spadaro, l’ex Pci che studia, lavora e scrive per conciliare anime e storie della città e che di recente ha presentato un libro sul ‘900 con Dipiazza – è dunque così debole e fragile da consentire al nazionalismo sloveno di mettersi dalla parte della ragione. Infatti il professor Boris Pahor, che negli anni ha dato voce e dignità culturale alla tradizionale interpretazione nazionalista slovena sulle vicende giuliane, sul punto specifico ha perfettamente ragione».
Secondo Spadaro «se si vuole dare un riconoscimento, com’è giusto, alla sua esperienza letteraria e umana è doveroso ricordare quello che il fascismo ha fatto a lui personalmente e alla comunità di cui fa parte. Non ammettere le responsabilità del fascismo nella repressione degli sloveni – aggiunge lo storico-politico triestino – indebolisce le buone ragioni di quanti chiedono che si riconosca il ruolo che ebbe il nazionalismo sloveno e croato nella distruzione della presenza italiana sulla costa orientale».
Lo afferma anche Spazzali: «Le memorie sono divise, per questo è importante ricucirle, riconoscendole e ascoltandole». E Spadaro ammonisce: «Simili cadute di stile alimentano letture faziose, disonestà intellettuali tanto fra gli italiani quanto fra gli sloveni, che nel 2000 sarebbero ridicole se non fossero penose e dannose per tutti».
Ma le posizioni sembrano, nonostante la precedente amicizia fra Dipiazza e Pahor, distanti. Per il sindaco i regali si accettano sempre e comunque. Pahor non è dello stesso avviso: «Se quella parola, fascismo, il Comune di Trieste non può inserirla, allora non mi dia quel riconoscimento, io peraltro non ho mai chiesto nulla».
Gabriella Ziani