di MAISKA RUGGERI su Libero del 30 dicembre 2009
Le aspirazioni jugoslave di annessione della Venezia Giulia, al termine della Seconda guerra mondiale e sull'onda della liberazione dal nazifascismo, sono cosa risaputa. Come ormai nessuno può negare, anche a guerra finita, la conseguente pulizia etnica effettuata tramite le foibe e l'esodo di 350mila italiani e istro-veneti. Meno nota, invece, è l'accettazione, sia su un piano formale che fattuale, di tali pretese del Maresciallo Tito, che immaginava, con il benestare di Stalin, una Slavia Veneta estesa almeno sino al fiume Tagliamento, da parte del Partito comunista italiano, pronto a piegare l'intero movimento partigiano non alle esigenze nazionali, come per esempio accadde in Francia, ma a quelle dell'internazionalismo rosso. E questo già dal 1933.
Basti leggere in proposito la "Dichiarazione comune dei Partiti comunisti della Jugoslavia, dell'Italia e dell'Austria sul problema sloveno", risalente al dicembre 1933 e poi trascritta sul n. 4 de "Lo Stato Operaio": «Tutti e tre i Partiti si dichiarano senza riserve per il diritto di autodecisione del popolo sloveno sino alla separazione dagli Stati imperialisti, della Jugoslavia, dell'Italia e dell'Austria, che presentemente opprimono con la violenza il popolo sloveno».
Le responsabilità di Palmiro Togliatti, anche come dirigente del Comintern, e del suo ambiguo partito emergono evidenti dai documenti, alcuni finora inediti, presentati dallo storico Marco Pirina nel volume II confine orientale negli atti del Pci e Pcj (Edizioni A.N.V.G.D. Gorizia, pp. 158, euro 20, da gennaio disponibile anche come Adria Storia 21 a nella collana di Silentes Loquimur, info: 0434/554230).
I primi rapporti di collaborazione tra la Federazione del Pci di Udine e il Pcs, sottoforma di supporti logistici e informativi alla Resistenza slovena, risalgono al settembre 1942. Presto seguono rifornimenti di viveri, armi e medicinali. E quando si arriva a trattare delle pretese annessionistiche la risposta è chiara: «Ci sarebbero dovute essere rettifiche di confine, perché quello era il parere del Pei e sarebbe stato il parere anche di tutte le forze democratiche». Così si arriva, nel marzo 1943, cioè ben sei mesi prima dell'8 settembre, alla costituzione di un gruppo autonomo di combattenti italiani alle dipendenze degli sloveni, che più tardi prende il nome di "Distaccamento Garibaldi". Siamo, insomma, a una lotta di liberazione presto destinata a trasformarsi in lotta di classe, guerra civile e questione nazionale per i popoli slavi.
La "mattanza del 1943", stupri, squartamenti, evirazione di sacerdoti, infoibamenti vari, è accompagnata dal decreto di annessione, sancito dall'AVNOJ (Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia), del litorale sloveno, dell'Istria croata (Fiume, Zara…) e delle isole adriatiche. Il Pei non batte ciglio: la dipendenza operativa dagli sloveni era un ordine del partito condiviso totalmente dallo stesso Togliatti.
Nel Bollettino n.l (gennaio 1944) della Federazione del Pci di Trieste, redatto da Giovanni Pratolongo, si rigettano le soluzioni "Trieste città libera" («non ha senso») e "Trieste ai Triestini" («reazionaria») e si ricorda come già nel 1926 il Pei «ha riconosciuto al popolo sloveno e croato della Venezia Giulia il diritto all'autodecisione di disporre di se stesso fino alla separazione dallo stato italiano, edha sempre aiutato e lottato con tutte le sue forze a fianco del popolo sloveno e croato per la realizzazione delle sue aspirazioni». Per maggior sicurezza si rimuovono dalla città gli esponenti del Pei più scomodi per i compagni del Pcs, che da allora la fanno da padroni.
Agli accordi politici tra i due partiti fratelli, incoraggiati da Mosca, in cui si rimandano a vittoria ottenuta le delimitazioni dei confini («Ma da oggi già noi dobbiamo salutare come un fatto compiuto e difendere la conquistata unità ed indipendenza del popolo sloveno e in generale dei popoli Jugoslavi»), si intrecciano quelli tra CLNAI e OF (con tanto di contributo di 3 milioni di lire) e quelli militari tra il Comando Generale delle Brigate "Garibaldi" e il Comando del IX Corpus d'Armata del NOVJ (Esercito di Liberazione Nazionale della Jugoslavia). Chi si oppone, gli «sciovinisti italiani», va semplicemente eliminato. Come ben dimostrerà la sorte della "Osoppo" del comandante "Bolla" (Francesco De Gregori) a Porzùs nelfebbraio 1945.
La lettera "riservatissima" di Vincenzo Bianco, già comandante delle Brigate Internazionali in Spagna e in stretto rapporto con Togliatti, parla chiaro: la Jugoslavia è democratica e progressiva e quindi non può avere mire imperialistiche, mentre Trieste avrà un avvenire migliore «in un paese ove il popolo è padrone dei propri destini», piuttosto che nell'Italia occupata dagli angloamericani. D'altronde, Luigi Longo dixit (novembre 1944), la nuova Italia «deve accogliere non solo, ma appoggiare in tutti i modi le giuste rivendicazioni nazionali della nuova Jugoslavia». E gli esempi, nel libro di Pirina, continuano a iosa. Fino all'ordine del giorno (12 aprile 1945) votato dai combattenti della Divisione Natisone: «Trieste e il Litorale appartengono "per diritto naturale e per decisione del popolo" alla Nuova Jugoslavia democratica popolare e chiunque osasse tentare di spezzare questa unione sorta dalla lotta comune sappia che noi… la difenderemo fino alla completa distruzione di ogni forza ostile». E poi ci si chiede ancora di chi sia la responsabilità, quantomeno morale, delle foibe e delle deportazioni… Tito il 9 maggio 1945 proclamava di aver liberato «queste terre perché etnicamente appartengono alla nostra patria» e in Italia molti comunisti gli davano ragione, in nome della rivoluzione rossa.