Non sono mai stati citati dagli studiosi, eppure a Grado (GO) operavano vari Campi profughi per istriani, fiumani e dalmati prima del Trattato di pace. Non erano dei veri e propri accampamenti di tende, o dei cameroni di vecchie caserme, come in altri casi. Lo attesta un documento del “National Archives U.S.” del 7 febbraio 1947. C’erano 144 profughi di Pola a Grado alloggiati alla meglio in almeno sette pensioni-albergo (cinque o sei persone per stanza) requisite dal responsabile anglo-americano del locale Ufficio d’Affari Civili del Governo Militare Alleato.
Il primo a parlare di tale accoglienza è stato Tullio Svettini, esule di Rovigno, poi menzionato da «Il Piccolo» nel 2014. “A Grado esuli istriani trovarono alloggio, oltre che a Villa Teresa, anche in diversi altri edifici come le ville Aida, Alga, Santina, Istria e Minerva – come ha riportato il giornalista de «Il Piccolo» – allora transitarono per Grado circa duemila profughi. Di questi un migliaio si stabilì definitivamente nell’Isola o a Fossalon [frazione di Grado]. Oggi si calcola che a Grado ci siano ancora circa 500 istriani (circa l’8 per cento della popolazione)”.
Le prime fughe dal regime di Tito si verificarono nel 1946, poi pure nel 1947-1950. L’ultimo esodo fu nel 1954, in seguito del memorandum di Londra. Trieste ritornò all’Italia e contestualmente tantissimi istriani lasciarono Capodistria, Pirano, Buie, Cittanova, Umago e altre località, nella Zona B, passate alla Jugoslavia. Villa Teresa era l’ultimo edificio prima della zona paludosa. Qualche eco di tale esodo negli appoderamenti di Fossalon di Grado può essere ritrovata ne “Il bosco di acacie” di Fulvio Tomizza, che invano tentò di andare contro la cortina del silenzio.
Scrisse ancora il quotidiano isontino: “Nel 1949 – ricorda Svettini – la mia famiglia arrivò a Grado esule da Rovigno d’Istria, dopo un brevissimo periodo passato al campo profughi di Udine. Io e mio fratello Claudio, mio padre Mario, mia madre Eufemia e mia nonna Emilia, ci siamo sistemati in una stanza in affitto in Villa Teresa. Fra tutti gli altri – aggiunge – ricordo la famiglia Burla con le quattro sorelle: Lucia, Erasma, Letizia e Ilda, le ‘piccole donne’. Nei campi retrostanti la villa facevamo salire gli aquiloni di pascoliana memoria, fatti con canne, carta colorata e colla di farina”.
È Claudio Giraldi, presidente del Comitato Provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, a confermare l’esistenza dei campi profughi di Grado. “Siamo arrivati dall’Istria nel 1948 in treno al Centro smistamento profughi di Udine, per un mese circa, dove ci hanno destinati a villa Minerva di Grado – ha detto Giraldi – ogni famiglia doveva stare in una stanza fredda, con la luce per due ore e il bagno in comune, siamo rimasti lì per 10 anni, nel frattempo il nonno Antonio Giraldi morì di crepacuore, poi ci raggiunse mio padre Mario, liberato dalla Croce Rossa dal campo di concentramento titino di Belgrado, dov’era ai lavori forzati. I detenuti italiani furono trasportati fino in Austria, poi rientrarono in Italia e in Istria. L’avevano imprigionato perché, essendo della batteria costiera di Pola, con i suoi commilitoni, all’arrivo dei titini, disarmarono le armi nascondendo gli otturatori, per ripicca gli slavi li rinchiusero nei gulag di Tito, costringendoli alla marce della morte, c’erano anche tanti prigionieri tedeschi, un fiume di prigionieri, quando non c’era più posto, li falciavano con le mitragliatrici, così mi raccontò”.
Ci sono altre esperienze sotto Tito? “So che mio padre con una quindicina di ex commilitoni, dopo avere issato la bandiera italiana sul campanile di Gallesano – ha aggiunto – sono fuggiti dall’Istria in barca per le coste venete o romagnole. Oltre a villa Minerva, c’erano pure villa Santina e villa Venezia con una migliore sistemazione, noi avevamo solo due sedie e, per mangiare, due familiari si dovevano sedere sul letto matrimoniale sul quale alla sera si dormiva due di testa e due ai piedi. A Grado mi è nata una sorella, so che i miei nonni materni, cioè le famiglie Agosto e Devescovi di Fasana, dopo l’esodo a Udine, furono destinate a un Centro profughi di Bari e di lì emigrarono in Brasile. C’era tanto disagio, ma la mia mamma era contenta, perché avevamo un lavandino in camera”.
Poi siete andati a Milano? “A Grado non era male come fu invece per tanti istriani nei campi profughi, ma nel complesso era un periodaccio – ha concluso Claudio Giraldi – così quando mio papà, dopo un grave infortunio (faceva il pescatore), ebbe un’occasione di lavoro da un suo ex comandante in marina come custode in un allevamento di trote di Abbiategrasso, presso Milano, accettò subito il lavoro e ci trasferimmo. Nella nuova casa c’erano solo tavoli, perché era un luogo di svago di nobili milanesi, e noi dormivamo sui tavoli, senza luce e servizi igienici per sei mesi, poi pian piano arrivò la rinascita, ma i miei hanno sofferto la mancanza della casa istriana, erano tristi, mia mamma cancellò tutto, senza raccontare nulla, mio papà visse nel silenzio e nella nostalgia, gli proposi di scrivere o di registrare le sue memorie, non lo fece mai”.
Argea Agosto e Mario Giraldi, genitori del testimone, parteciparono il 24 aprile 1994 a un raduno di esuli a Gorizia, come riporta «L’Arena di Pola» del 21 maggio 1994, nel cinquantesimo anniversario del giornale.
Fa parte del “National Archives U.S.” (Archivi nazionali degli Stati Uniti d’America), con copia nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma, il seguente documento che attesta l’itinerario degli esuli di Pola a mezzo gomma verso il Friuli. Forse perché le linee ferroviarie erano impegnate per altri trasporti, sta di fatto che sia a Pola che a Fiume c’erano il camion o la corriera della Croce Rossa, per portar via i profughi fino a Trieste, come hanno raccontato altri esuli di Fiume.
Il 7 febbraio 1947 il maggiore J. Kitson Harris, dell’Ottava armata britannica, responsabile dell’Ufficio d’Affari Civili del Governo Militare Alleato di Monfalcone, provincia di Trieste, Venezia Giulia, scrisse all’Ufficio Affari Civili del Comune di Grado, avendo per oggetto: Rifugiati istriani da Pola.
Il testo della lettera recita: “Per vostra informazione si precisa che i profughi di Pola non supereranno a Grado [provincia di Gorizia, NdR] le centoquarantaquattro persone contemporaneamente fino a nuovo avviso. Sarà quindi necessario che il Vostro Ufficio mantenga il controllo giornaliero definitivo sul numero dei profughi presenti a Grado, eventuali eccedenze rispetto al numero sopra indicato verranno immediatamente segnalate alla sede di questo Gruppo. I numeri, i nomi e il luogo di residenza a Grado degli eventuali profughi sopra 144 verranno trasmessi con report giornaliero, in modo che possa essere previsto il trasporto per trasferire i ‘profughi in eccedenza’ in un campo a Udine”.
Si comprende dal documento suddetto l’importanza del Campo profughi di Udine, ultimo approdo dei “profughi in eccedenza” a Grado. Da Udine transitarono oltre 100 mila italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia.