di Milan Rakovac
Ancora oggi, a 150 anni di distanza, un uomo continua a suscitare reazioni diverse. Di lui un giornale scrive sia come di un eroe sia come di un assassino, e lo qualifica ora come un liberatore e ora come un terrorista. Sto parlando di John Brown, condannato a morte per impiccagione nel 1859, per aver organizzato una sommossa contro la schiavitù…
Come al solito, in modo del tutto inadeguato, leggendo l’ottimo articolo “John Brown, il feroce liberatore”, dedicato a un personaggio che ancora oggi divide l’opinione pubblica americana (!), scritto per il Corriere da Paolo Valentino, il mio pensiero è andato ai nostri eroi e ai nostri assassini (a seconda dei punti di vista).
Scrive Valentino:
“Ma è la sua vena violenta e sanguinaria a fare ancora da spartiacque: fu un eroe o un terrorista? Un martire o un fanatico fondamentalista? E Victor Hugo parlò di un ‘liberatore, un combattente di Cristo’, ma Nathaniel Hawthorne lo definì un ‘fanatico sporco di sangue’… (e adesso, M.R.). Il ‘New York Times’ ha sentito il dovere di pubblicare due commenti del segno opposto. Cosi, lo storico David S. Reynolds ha sollecitato l’America a riconoscere in Brown l’‘eroe nazionale’, il ‘soldato in guerra’ contro la mostruosa ingiustizia dello schiavismo… Sullo stesso quotidiano, un altro studioso della guerra civile, Tony Horwitz, ha accusato, invece, Brown di ‘aver terrorizzato il Sud e aizzato un conflitto più grande’, paragonandolo addirittura agli attentatori dell’11 di settembre”…
E alora, se anche lassemo star in pase due monumenti che mi li portassi a Pola de novo, ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff e Nazario Sauro, me domando: ma come saria veder vissin l’Arena tre monumenti relativamente inoqui, messi insieme, sul stesso posto; perché prima iera soto l’Arena (anssi La ‘Rena), in bronzo, la nostra indimenticabile Sissy, dopo ela iera el Octavianus Augustus, e dopo lui el Marinaio anonimo. L’Italia ga messo via la Sissy, la Jugoslavia el Augusto, e la Croazia el Marinaio.
È poco probabile che questi tre monumenti potrebbero convivere (anche a una giusta distanza l’uno dall’altro) sotto l’Arena, dove erano collocati ed è ancor meno probabile che a Pola potrebbero trovare posto (magari uno accanto all’altro come piacerebbe a me!) Tegetthoff i Sauro. Ma più di ogni altra cosa è difficile attenderci che Pola dedicherà un monumento alla persona che più ha fatto per questa città: al Veneziano che ha impedito ai Veneziani di mettere in pratica l’intento di smontare l’Arena per trasportarla a Venezia. Mi riferisco a Gabriele Emo che ha impedito che l’Arena subisca la stessa sorte dell’antico teatro di Monte Zaro i cui pezzi sono stati usati per la costruzione dei palazzetti in stile gotico fiorito, ossia gotico orientale, ovvero gotico turco.
Colgo l’occasione per riproporre alla vostra attenzione altre tre storie istriane riguardanti i monumenti. Šime Vidulin aveva scolpito in pietra l’“Uccello della Croazia” che aveva trovato posto sopra il Canale di Leme, e che qualcuno ha minato. Šime non ha mai rifatto la sua scultura e ora rimane soltanto il suo supporto tristemente vuoto. Ma lo stesso Šime Vidulin (presidente della Camera dell’Economia della Regione Istriana, un grande patriota croato) ha rifatto per ben due volte il monumento dedicato ai martiri antifascisti che si trova vicino a Dignano!
Esattamente come qualcuno si ostinava a togliere la stella dal monumento agli antifascisti caduti a Rakalj (Valdarsa), e come lo scalpellino locale si ostinava a farne una nuova fino a quando i dinamitardi non hanno rinunciato. Pensate anche voi, cari lettori, che in questi casi appena citati i dinamitardi non fossero degli ipotetici “autonomisti o neofascisti italiani”, come si è tentato di far credere, proprio come non lo erano nemmeno nei casi in cui si è tentato di distruggere i busti degli eminenti istriani posti nel Parco cittadino di Pisino!
Non intendevo esagerare proponendo in modo simbolico le storie di tutti questi monumenti collocati in Istria, ma la dimensione simbolica si impone da sé. E forse proprio l’Istria, come nessun altra Contea o Regione sull’Adriatico (né in Croazia, né in Italia, né in Slovenia!) è matura, dal punto di vista storico e psicologico, per la “riconciliazione dei simboli”. L’Istria è, forse, il più bel giardino sperimentale dell’Europa. Considerato che sono personalmente coinvolto nell’ottimo progetto regionale che punta a fare dell’Istria “una terra di cultura e di scienza”, supporto pienamente un approccio aperto alle richieste volte a organizzare sul nostro territorio celebrazioni in memoria dei personaggi storici, e supporto anche la presa di distanze sia dalla “nostra” storia e dai suoi protagonisti, sia dalla “loro” storia.
L’Istria è capace sin d’ora di esprimere anche sul piano culturale l’apertura raggiunta dalla sua psicologia collettiva. È capace di farlo anche dando un chiaro esempio del nuovo spirito europeo, nel bel mezzo di un ambiente contraddistinto dai revival dei vecchi nazionalismi e dei nuovi populismi, collocando sul suo territorio i simboli di tutte le forze che si sono scontrate nella storia, di tutti i suoi regnanti e di tutti i suoi popoli. È capace di farlo anche qui, attorno a questi confini dove gli “ismi” stanno tentando di riportare indietro le lancette della storia.
Se sono vere le voci che circolano, che lo spirito di collaborazione europeo è sorto lungo il confine franco-tedesco, allora l’Istria (o almeno i suoi abitanti, ma anche il contesto socio-politico e culturale di buona parte dell’Istria croata!) è decisamente un ambiente nel quale non domina il nazional-patriottismo, bensì la tolleranza e la convivenza. È per questo motivo che leggendo l’articolo incentrato sul triste destino di John Brown, penso ai MONUMENTI E AI SENTIMENTI ISTRIANI. L’uomo (la gente) può scegliere i propri sentimenti, e anche i monumenti!