Il 10 giugno 1940 l’Italia entrava nella Seconda Guerra Mondiale, 4 anni dopo la città di Trieste subiva il più pesante bombardamento aereo, che colpiva soprattutto il quartiere popolare di San Giacomo, a causa della sua vicinanza ai cantieri navali ed alla ferriera di Servola, obiettivi dei bombardieri inglesi e americani.
La Sezione di Trieste dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra ha svolto lunedì 10 giugno una commemorazione della tragica giornata, con il patrocinio della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ed in collaborazione con la V Circoscrizione del Comune di Trieste e con il Conservatorio Giuseppe Tartini, i cui allievi hanno suonato insieme alla fanfara della Brigata di Cavalleria Pozzuolo del Friuli sia alla messa in suffragio delle vittime svoltasi la mattina nella Chiesa di San Giacomo Apostolo, su una parete della quale una targa ricorda il bombardamento, sia al concerto svoltosi alla sera nella sede di via Ghega. Alla fine dell’esibizione musicale è stato proiettato un video realizzato dagli studenti dell’Istituto Nautico di Trieste.
Una delegazione del movimento Trieste Pro Patria ha svolto in Campo San Giacomo nel tardo pomeriggio una breve commemorazione delle circa 450 vittime del bombardamento anglo-americano.
Ampia e documentata è la ricostruzione di quel 10 giugno 1944 che si può trovare sul sito internet del Civico Museo della Guerra per la Pace Diego de Henriquez:
Ruderi e macerie di quei bombardamenti restarono a lungo nelle strade del capoluogo giuliano, come emerge da un ricordo di Anna Maria Crasti, consigliere nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, esule da Orsera che ha vissuto per un periodo in un Centro Raccolta Profughi a Trieste. [LS]
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A Trieste, dal 1948, abitavamo in Via Negrelli,10. La casa, da entrambi i lati, aveva enormi mucchi di macerie, di pietre. La casa svettava in mezzo a quei mucchi di pietre.
Davanti alla casa c’erano “ la campagneta picia” e “ la campagna grande “. Noi, pici di tutte le età, andavamo a giocare in tutte e due le campagnette.
Quella grande non ci piaceva, ma ci andavamo lo stesso, quando cercavamo l’indipendenza dalle nostre mamme che vuol dire: quando volevamo disubbidire alle nostre mamme che ci controllavano, anche se non da vicino.
In quella campagna grande io mi arrampicavo sugli alberi che la costeggiavano, immaginando me amazzone che cavalcavo bellissimi cavalli. Cosa che la mamma non voleva che facessi.
La campagna grande era piena di buche, enormi, quasi dei crateri, procurati dalle bombe. Le mamme avevano paura e non volevano che vi andassimo. Temevano che ci fossero, disseminati, ancora dei residui bellici. Ci avvertivano, e molto seriamente, di non tirar su niente… penne oggetti strani… Temevano potessero esploderci tra le mani. Era già successo. Ricordo ancora i manifesti affissi dappertutto che avvertivano, anche con disegni, quali potessero essere gli oggetti bellici disseminati ovunque, dappertutto.
Quelle grandi immense pietre di fianco alla casa per noi pici diventavano case caverne fortini… Non ci chiedevamo che cosa erano state, case con uomini donne bambini che vi avevano abitato, che fine avessero fatto. Ci divertivamo e basta. Ci siamo divertiti a inventare battaglie tra bande, con noi bambine che diventavamo crocerossine.
Quelle grandi immense pietre di fianco alla casa, come noi crescevamo, lentamente sparivano. Sono diventate gran parte della nuova Chiesa della Madonna del Mare in Piazzale Rosmini. Ricordo due frati francescani che, con un camion messo a disposizione dagli americani, legando per accorciarla la tonaca col bianco cordone, caricavano sul camion le pietre per costruire la nuova grande Chiesa. Ricordo ancora i loro nomi – frequentavo assiduamente l’oratorio della piccola chiesa, mi piaceva tanto andare alla domenica pomeriggio al cinema-. Padre Venanzio, un fratone buono e pieno di forza, Padre Benigno, piccolino e rubizzo. Entrambi hanno dedicato tanti anni della loro vita caricando quelle pesanti pietre- Padre Venanzio alla guida del camion – per innalzare la nuova Madonna del Mare, il cui alto campanile si scorge da lontano, dal mare.
Ripensandoci e riflettendo, quella casa rimasta integra e salvata dalle bombe, è vicina in linea d’aria a quelli che, allora, erano i Cantieri Riuniti dell’Adriatico CRDA, con il bacino per i vari delle navi, con innumerevoli grandi gru. Erano quelli gli obiettivi da distruggere.
Anche il rione di San Giacomo era vicino in linea d’aria a quei cantieri. E, come sempre accade nelle guerre, a pagare sono gli innocenti incolpevoli.
Ma noi pici di allora non ci facevamo domande, quelle pietre per noi erano luoghi per giochi fantastici. Su quelle pietre mi sono anche rotta la testa. Ci sono caduta sopra: due punti sulla fronte. Mamma non ha avuto un momento di esitazione: “ te sta ben! No te son mai atenta!” E, di corsa, al Pronto soccorso di Piazza Vico.
Anna Maria Crasti