Una letteratura certo non «minore»che oggi chiede di essere salvaguardata sia per l'intrinseco valore artistico, sia per testimoniare il dramma di un popolo costretto ad abbandonare la propria terra. È la «letteratura di confine», da non confondere genericamente con la letteratura coloniale o con la produzione degli scrittori emigranti o, ancora, di autori stranieri che hanno scelto di esprimersi in lingua italiana.
«Il riferimento è alla letteratura italiana che si è sviluppata ai confini con l'Italia: si è sedimentata in territori come il Canton Ticino, Malta, le isole Ionie e, soprattutto, ai confini orientali con il Trentino, Venezia Giulia e la Dalmazia, in cui per secoli ci fu una maggioranza di italiani».
La precisazione è del prof. Giorgio Baroni, ordinario di letteratura italiana moderna e contemporanea all'università Cattolica di Milano (dove svolge anche l'insegnamento di sociologia della letteratura), intervistato ieri al Sancarlino da Anna Bellio per i Lunedì curati da Carla Boroni.
Lo studioso e critico letterario – autore fra gli altri dei volumi «Scrittori al volo. L'aviazione nella letteratura», «Orlando comprato.
Manuale di sociologia della letteratura» e «Viaggio intomo» -ha ripercorso la situazione storica di queste zone al limite della penisola italiana fortemente connotate fin dai tempi antichi dall'essere parte integrante dell'impero romano e dall'impronta della cultura latina; poi entrate nell'orbita veneziana, fino alla caduta della repubblica marinara per mano di Napoleone e quindi assoggettate al dominio austro-ungarico. Le vicende del XX secolo, segnato dai due conflitti mondiali, ne hanno tracciato un destino di smembramento e di esodo.
Baroni, coadiuvato dalle analisi della prof.ssa Bellio, ha proposto una panoramica dei talenti e dei personaggi illustri generati dall'area dalmata, a cominciare dagli imperatori Diocleziano e Giulio Nepote (ultimo imperatore romano) . San Girolamo verso la fine del '300 dopo Cristo completava a Betlemme il «De viris illustribus», miscellanea di biografie di personaggi dell'Antico Testamento e dei primi secoli dell'era cristiana.
«Il maggior esponente è stato sicuramente Niccolò Tommaseo – ha ricordato il relatore -: linguista, scrittore e patriota italiano (cui sono legati i Dizionario della lingua italiana, il Dizionario dei sinonimi e il romanzo «Fede e bellezza») che lasciò segni indelebili nel contesto culturale pubblicando anche in francese e neo-greco». Altri nomi di rilievo citati dallo studioso sono quelli di Arturo Colautti, nativo di Zara, giornalista di valore, che diresse il Corriere del mattino, di Napoli; l'eminente storico e letterato zaratino Giuseppe Sabalich; Arturo Belotti di Spalato, che nel 1896 canta la sua Dalmazia o il contemporaneo poeta, scrittore e saggista Raffaele Cecconi di Zara, col suo resoconto di «straordinari e avventurosi viaggi in luoghi remoti», pubblicando la raccolta di poesie «D come Dalmazia».
«Con la Seconda guerra mondiale pochissimi dalmati italiani restano in Dalmazia – ricorda Baroni -. Si chiude così l'epoca della generazione della diaspora, dopo di che tutti o quasi tutti gli scrittori andranno esuli anche molto lontano. Loro comune denominatore è il desiderio di dare voce ai drammi della propria terra, perciò assistiamo all'intensificarsi della produzione memorialistica e critica». Soltanto alcuni di questi sono però oggi segnalati in repertori e pubblicazioni. «Si pone anche il problema dell'appartenenza – osserva il relatore -. E c'è il rischio concreto che il matrimonio fra questa cultura e l'italianità finisca. Perciò abbiamo bisogno di studi specifici, che s'affianchino ai testi periodici dei dalmati in esilio e, oggi, anche ai siti internet dedicati».
Anita Loriana Ronchi