ROMA – Sul finire dello scorso anno la Società di Studi Fiumani (SSF) ha dato alle stampe il ventesimo numero (luglio-dicembre 2009) della sua rivista semestrale “Fiume”; una rivista che – non è superfluo ricordarlo – si iniziò a pubblicare nel capoluogo quarnerino nel 1923, dove uscì fino al 1940, per poi essere ripresa a Roma, dopo la lacerazione provocata dalla Seconda guerra mondiale e dall’esodo dei fiumani, nel 1952. Da dieci anni a questa parte la pubblicazione ha come sottotitolo “Rivista di studi adriatici”, in corrispondenza a una precisa politica editoriale. E non solo, considerato che sul finire del ’900 la Società ha optato per una prospettiva più europeista (di cui è espressione, ad esempio, anche il Manifesto culturale fiumano), ampliando il proprio campo d’azione a “tutti i territori adriatici di affine cultura, dal più lontano passato ad oggi”, oltre ovviamente a continuare a occuparsi dello studio e della conservazione delle testimonianze storiche su Fiume, Liburnia e isole del Quarnero.
Anniversari
Ventesimo numero: fa da “protagonista” assoluto il Ventesimo secolo, con i suoi mutamenti, le speranze, le brutture, ma anche con qualche interessante “scheggia”. E se dei contenuti della rivista ci ripromettiamo di parlare in un secondo tempo, si coglie quest’occasione per segnalare un singolarissimo allegato: la ristampa dell’opuscolo “Il porto di Fiume”, edito dal Comitato per l’incremento dei traffici del porto di Fiume e curato dall’Azienda dei magazzini generali di Fiume, stampato nello Stabilimento tipografico del quotidiano “La Vedetta d’Italia” nel giugno del 1939. Poco prima che scoppiasse quel secondo conflitto mondiale che segnerà la fine della Fiume italiana. Un’ottantina di pagine in tutto, che offrono uno spaccato di quella che è stata la vicenda fiumana attraverso il suo porto; ossia un’attività che nel corso dei secoli ha determinato la fortuna della città, ha prodotto ricchezza materiale e al contempo culturale, favorendo quello scambio e quel dialogo tra le genti, quella multiculturalità che è un tratto peculiare dell’identità fiumana. Un piccolo tassello, un modesto – ma per niente affatto meno significativo – contributo alla (ri)scoperta della storia fiumana, in cui si possono però riconoscere, oltre a quelli intrinseci, dei valori “aggiunti”, che lo rendono pertanto ancora più prezioso.
Valori aggiunti
Sì, perché con quest’iniziativa la Società di Studi Fiumani in un certo senso rievoca – per tutti coloro che l’hanno dimenticato (e ahimé sono stati in tanti) – un importante anniversario, celebrato un po’ in sordina, vale a dire l’istituzione del porto franco nel 1719, ad opera dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo; in secondo luogo recupera – per la gioia di tutti gli appassionati di storia e di quelli del mestiere – un testo altrimenti non facilmente reperibile. E non è cosa da poco, perché in un certo senso l’opuscolo “torna” nel luogo in cui è nato – anche se in maniera piuttosto ridotta, vista la limitata diffusione della rivista –, nell’attesa che i documenti e le altre testimonianze sulla città e il territorio conservati dalla Società nel suo Archivio Museo a Roma trovino una giusta collocazione a Fiume. Come da tempo auspicato dalla presidenza della Società.
Il crollo dei «muri»
“La seconda guerra mondiale finì a Fiume (oggi Rijeka – Croazia) il 3 maggio 1945. In Italia la tragedia s’era conclusa otto giorni prima. La città, illustrata e documentata in questa pubblicazione (…) altro non era che un cumulo di macerie – scrive nella quarta Amleto Ballarini, presidente della Società di Studi Fiumani –. I terrificanti bombardamenti aerei angloamericani e i feroci combattimenti terrestri intorno l’avevano sconvolta. La cessione della città alla Repubblica Federativa Jugoslava in base al Trattato di Pace del 1947 determinò l’esodo della maggioranza italiana della sua popolazione. Il crollo del muro di Berlino e la nuova Europa, sorta dopo la fine dei regimi comunisti, hanno favorito, con il sostegno delle istituzioni culturali della Repubblica Croata, il primo ritorno alla città d’origine della Società di Studi Fiumani per operare nel mondo della scuola e per riscrivere, italiani e croati insieme, pagine di storia troppo a lungo ignorate. Allora eravamo soli. Oggi siamo in tanti”, afferma il presidente dell’SSF.
Un lavoro esemplare
E Ballarini cita come espressione eccellente di questo nuovo spirito di collaborazione e comprensione reciproca, “La ricerca delle vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni tra il 1939 e il 1947” (cura di Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, Roma 2002, pp. 702), attuata con l’Istituto Croato per la Storia di Zagabria e il sostegno del Ministero per i Beni Culturali della Repubblica Italiana. Un lavoro esemplare, unico nel suo genere, precursore di un certo modo di fare (scientificamente) storia, di un interesse verso questo tipo di tematiche che si accenderà appena qualche anno dopo, sia nell’opinione pubblica italiana sia in quella croata. Infatti, nel periodo in cui il progetto veniva avviato, si sviluppava e concludeva, non era stata ancora varata la legge che avrebbe portato all’istituzione del Giorno del Ricordo (10 febbraio) e che dopo decenni di buio, ha acceso i riflettori su esodo e foibe.
Una radiografia
Dopo una breve introduzione sulla storia e lo sviluppo del porto di Fiume, l’opuscolo in questione offre quasi una radiografia dello scalo, dei suoi impianti (bacini, moli, banchine, mezzi di sollevamento, magazzini, silos, scalo legani e altre aree, magazzini generali) e di tutte quelle (infra)strutture collegate alla sua attività: dai servizi e impianti ferroviari ai servizi marittimi (con l’elenco delle più importanti linee di navigazione che facevano riferimento a Fiume), alle case di spedizione, agli istituti di assicurazione e a quelli di credito, ai consolati, viceconsolati-delegazioni o agenzie consolari (Argentina, Belgio, Germania, Grecia, Danimarca, Francia, Jugoslavia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Ungheria, Uruguay), alle società di navigazione, alle industrie dell’area…
Motivi di fiducia
La sua pubblicazione era stata promossa a circa un decennio dalla fine della Grande Guerra; conflitto che aveva segnato un periodo particolarmente tormentato, determinato dalle varie crisi economico politiche – terminato con l’annessione della città al Regno sabaudo, nel 1924 –, da parte del “Comitato per l’incremento dei traffici del porto di Fiume”, organismo costituito nel 1936 (con una sua rappresentanza a Budapest) al fine di adottare i provvedimenti necessari per la ripresa dello scalo. “(…) Il 1938, che nel complesso chiude il bilancio del traffico in condizioni di quasi parità rispetto al 1937 (1.216.170 in confronto a 1.318.720 tonnellate, ndr), può considerarsi come la prova del fuoco per la vitalità dell’organismo fiumano, che in un anno caratterizzato da tanti sconvolgimenti politici del retroterra, si è trovato perfettamente in linea, più saldo e operante che mai. Non si vuol dire che Fiume abbia raggiunto interamente le sue mete; ma l’ascesa graduale non subirà altri arresti, anzi favorirà nuovi sviluppi, che s’incontrano perfettamente con gli interessi dei paesi da Fiume serviti, specialmente l’Ungheria e la Jugoslavia. La situazione attuale (…) è tale da giustificare pienamente il ritmo, che il porto va riprendendo e la fiducia che in esso è riposta. (…) In conclusione, la situazione del porto di Fiume è oggi tale da offrire sempre maggior soddisfazione agli utenti sotto ogni riguardo e da permettere di trarre per l’avvenire i migliori auspici (…). Le amicizie poi saldamente basate fra l’Italia da un lato e la Germania, l’Ungheria e la Jugoslavia dall’altro, l’estendersi della convinzione che per ritrovare la via maestra della pace e del progresso è necessaria una sempre più stretta collaborazione internazionale, contribuiranno a favorire quello sviluppo dell’emporio fiumano, cui oggi si mira con sicura fiducia e e con legittimo orgoglio”, come si legge nell’introduzione.
Continuare a vivere
Collaborazione e amicizia sempre auspicabili per un futuro migliore. Ma anche in campo storiografico, per comprendere meglio noi stessi. Perché è la mancanza d’identità, ossia il difetto di conoscenza delle proprie radici, a portare l’intolleranza, e questa in definitiva alle violenze che il Ventesimo secolo ha generato. Come conclude Ballarini: “Dopo settanta anni e tante tragedie, la nostra Fiume, con voi e con noi, in queste pagine, riesce a vivere ancora”. E con essa anche la speranza che mai avremmo modo di constatare con rassegnazione che si è arrivati alla “Finis Fiumae – finis fiumanorum”.
Ilaria Rocchi