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La strega di Montona, giallo nella Venezia medievale (goodnews.ws 26 gen)

Il 6 luglio del 1271, a Montona d’Istria (attualmente Motovun in Croazia), Diletta, moglie del veneziano Tommaso Michiel podestà della cittadina, confessò di essere ricorsa a pratiche di stregoneria nei riguardi del marito e del cognato Marco. Ammise in particolare di aver mescolato al cibo dei congiunti prodotti immondi. Richiesta per quale motivo avesse agito in tal modo, non rispose, ma aggiunse di aver legato forbici sotto la porta della camera da letto, di aver avuto due statuette di cera infilzate con aghi, di aver tenuto un osso della zampa di un maiale e di aver portato con se da Venezia polvere di lucertola. Marco esibì la polvere e Diletta ammise che si trattava appunto di quella alla quale aveva accennato. Resa la sua confessione, Diletta fu condannata a pagare con la vita le sue colpe, reali o presunte che esse fossero. L’esecuzione ebbe luogo nei pressi della chiesa di San Cipriano, una delle più antiche di Montona, abitualmente frequentata dai podestà del piccolo centro. La notizia giunse rapidamente a Venezia e da qui, su iniziativa dei parenti della donna che interessarono le autorità, partì l’ingiunzione al Michiel di tornare quanto prima in patria, sotto minaccia di arresto, per rispondere dell’accusa di omicidio nei confronti della moglie che gli veniva rivolta. Tommaso non obbedì all’intimazione mossagli e si guardò bene dal rientrare a Venezia, preferendo farsi difendere da un abile avvocato che giustificò con grande abilità il comportamento del suo cliente, sostenendo l’irregolarità dell’avviso di comparizione prima dello scadere del mandato podestarile e ritenendo illegittima la minaccia di arresto nel caso di inadempienza all’intimazione.

In sostanza, chiese l’immunità per il Michiel, che non si procedesse in alcun modo contro di lui in sua assenza e che venisse annullato qualsiasi provvedimento eventualmente assunto nel frattempo, assicurando che a tempo debito il suo assistito si sarebbe presentato a difendersi, fatti naturalmente salvi i suoi diritti.    Le argomentazioni difensive, che sollevavano dubbi sia di legittimità che di competenza, produssero il loro effetto. Tommaso uscì senza danni dall’episodio, entrò in possesso dell’eredità della defunta e proseguì brillantemente la sua carriera, costellata da incarichi pubblici e politici di prestigio fino alla morte, avvenuta circa un quarantennio dopo il caso di cui era stato protagonista nelle vesti di vittima designata, accusatore, giudice ed esecutore.  Ci si potrebbe chiedere se la vicenda in cui erano rimasti coinvolti Diletta, Marco e Tommaso Michiel sia stata effettivamente un esempio di stregoneria oppure un abile caso di uxoricidio. I giudici di Venezia che presero in esame il fatto si schierarono evidentemente  a favore della prima ipotesi, giacché Tommaso uscì indenne dall’episodio, ma nulla impedisce di trascurare la seconda possibilità. Se così fosse, egli avrebbe commesso un delitto perfetto!

Prof. Marco Pozza, docente di Storia Universita’ di Venezia

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