Una vita così poteva essere riassunta solo in un simbolo, il cuore. Un secolo dopo la sua nascita, Lucio Parenzan è nel cuore di tutti, e di lui si parla col cuore: ha gioco facile la metafora di fronte al maestro della cardiochirurgia pediatrica, ricordato a Bergamo a
cent’anni dalla nascita. Lo ha fatto l’ospedale «Papa Giovanni», nell’auditorium che porta il suo nome, in un flusso continuo di emozioni e memorie, tambureggianti come quel battito a cui Parenzan ha dedicato l’esistenza.
C’è il Parenzan istituzionale e quello privato, quasi intimo, conosciuto da amici, colleghi, pazienti. Lucio Parenzan – nato a
Comeno il 3 giugno 1924 e poi cresciuto a Pirano, si spense a Bergamo il 28 gennaio 2014 – è stato così un «catalizzatore», lo definisce Paolo Ferrazzi, primario emerito del «Papa Giovanni», un uomo di «fantasia, curiosità, istinto, visione, tenacia. Tutto coniugato col ragionamento scientifico».
Storie e aneddoti si sono susseguiti nel «talk» moderato da Alberto Ceresoli, direttore del quotidiano L’Eco di Bergamo, partendo dalle parole del professore: «Non voleva essere ricordato per i trapianti, ma per i bambini operati per la tetralogia di Fallot».
«È stato un pioniere della cardiochirurgia pediatrica, figura di riferimento per la medicina italiana e internazionale – ha sottolineato Orazio Schillaci, ministro della Salute, nel videomessaggio di saluto – Ha dato vita a un’eccellenza medica che ancora
oggi fa scuola. Ha salvato e migliorato la vita di migliaia di bambini, ispirando generazioni di medici e professionisti della salute».
[L’Eco di Bergamo – 27/10/2024]
Edoardo Uratoriu, esule fiumano e vicepresidente del Comitato provinciale di Bergamo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, ha letto il ricordo di Parenzan redatto dalla professoressa Elena Depetroni, Presidente dell’ANVGD Bergamo impossibilitata a partecipare.
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La comunità degli esuli dall’ Istria da Fiume e dalla Dalmazia e dei loro discendenti ha sempre riconosciuto in Lucio Parenzan una guida e un modello esemplare e soprattutto un amico gioviale ed autentico che resta indimenticabile. Grazie a lui e con lui a fianco anche la “prudente” città di Bergamo ha saputo mettersi all’ascolto ed aprire il cuore, travolta dall’esuberanza e dal brio del suo carattere e delle sua simpatia, verso quelle drammatiche vicende che hanno sconvolto le terre del Confine orientale insieme a persone, legami, affetti ,spezzati inesorabilmente dai tracciati delimitati dai trattati della Storia. Di quei legami spezzati e di quegli affetti, di quei luoghi , di quei profumi e di quei colori, Lucio ricordava ogni particolare soffrendo, come ognuno di noi, ogni volta al riaffiorare della memoria. Amava frequentare i nostri raduni o le occasioni conviviali per poter parlare nel suo amato dialetto istriano e “far 4 ciacole in allegria”.
Lucio Parenzan, figlio di un medico condotto e di una maestra, era originario di Pirano, pittoresca città sulla costa dell’estremo capo occidentale dell’Istria, dove ha trascorso una serena infanzia e cui è stato legato da un vincolo di affetto e di struggente mai sopita nostalgia.
La sua gioventù non è stata tra le più semplici, tra un papà perduto troppo presto, a soli quattordici anni e una guerra che, anche da quelle parti, tra il 1943 e il 1945, non guardava in faccia a nessuno, in mezzo, un lungo “esilio” come lo definì lui, al Collegio degli Scolopi di Firenze dove frequentò le medie, le superiori e il primo anno di Università conclusa poi tra Milano e Padova.
Fu negli ultimi anni della guerra che, per mantenersi gli studi, s’improvviso commerciante di sale e di scarpe. A Pirano c’erano le saline, a Padova c’erano tanti maiali, e di sale, per fare i prosciutti, ne serviva molto. E le scarpe? Le prendeva a Padova e le vendeva a Parenzo, un paesino poco distante da casa, da dove poi ricominciava il giro, non senza pericoli e peripezie: «Acquistavo il sale in Istria -raccontava nelle interviste- e lo vendevo a Padova e lì compravo scarpe che rivendevo a Pirano. E intanto facevo il guardiano di notte alla “Casa della madre e del fanciullo”. Poi arrivò Tito e scappai a Trieste – sempre con parole sue – in manighe de camisa»
Dopo il secondo conflitto mondiale, con precisione il primo maggio 1945, fu costretto, infatti, a scappare dall’avanzata titina verso Trieste, e nei giorni dell’occupazione “titina” di Trieste, passò quei brutti 40 giorni in un nascondiglio, nel terrore di essere preso e come altri ucciso o gettato nelle foibe.
Fu protagonista così di quel drammatico fenomeno che viene ricordato come “Esodo giuliano-dalmata” che vide coinvolti più di 350mila italiani e che oggi il Parlamento italiano con la legge 30 marzo 2004 commemora con il Giorno del Ricordo, il 10 febbraio.
Umanamente un grande uomo, semplice, rigoroso professionalmente, sempre sorridente e con una Fede solare e sincera, come la nostra gente sa essere, ha amato profondamente la sua terra , la sua città che portava sempre nel cuore tanto che nella sua dimora di Bergamo si ritrovava della sua Pirano l’essenza e persino qualche mobilio di Via delle Mura n.3.
Nel 1992, in occasione dello splendido concerto in Duomo dei Solisti Veneti con Uto Ughi, dedicato al terzo centenario della nascita di Giuseppe Tartini, su invito, il “nostro” dottore del cuore, si è preso una brevissima vacanza ed è venuto con tutta la sua numerosa e bellissima famiglia nella città d’origine. La comunità italiana era emozionatissima e lo accompagnò in giro per la città, ma Lucio Parenzan cercava e mostrava ai figli e alla moglie la Pirano della sua infanzia, dei suoi giochi spensierati, dell’allegria, del “cine picio”, dei sogni. Il luogo mitico dove rifugiarsi. Erano tutti commossi. L’anno successivo la CI “G. Tartini” gli assegnò il premio “San Giorgio”. Un disguido, per il quale si rammaricò sempre, fece in modo che non venisse a ritirarlo.
Quando tumulò a Pirano la madre mi scrisse un messaggio che ancora conservo nel cuore che diceva «ho riportato la mamma a casa» e per questo desideriamo ricordarlo oggi con le immagini della sua città sicuri che insieme a noi si emoziona ancora…..
Adio Piran, tranquilo e caro lido
che ne ga visto nasser e amar,
le rondinele torna al loro nido
ma noi no podaremo mai tornar
Maria Elena Depetroni
Presidente ANVGD Bergamo